Gaeta e i suoi eroi – terza e ultima parte

IL RE FRANCESCO II LASCIA GAETAAmmirando l’eroismo della guarnigione borbonica e dei due giovani sovrani, il 16 gennaio 1861 rientrano volontariamente da Roma a Gaeta tutti i diplomatici stranieri accreditati presso il re: un gesto di simpatia e soprattutto di stima in un momento di grande pericolo.
il 13 gennaio una sortita militare borbonica diretta dal generale francese Theodule de Christen – tra i legittimisti stranieri venuti ad appoggiare Francesco II nell’assedio, ndr – parte da Gaeta per Bauco – l’attuale cittadina Boville Ernica in provincia di Frosinone, ndr –  contro la divisione piemontese al comando del generale De Sonnaz.
Lo scontro si conclude con una sconfitta delle truppe piemontesi; ingenti le perdite da entrambi le parti.
Il generale de Christen e io, in qualità di aiutante di campo nella notte del 2 febbraio siamo rientrati a Gaeta da Terracina con barche di pescatori.
Il generale viene decorato e promosso dal re e cosi il tenente colonnello Pasquale De Santis.
Io, Luigi di Iorio di San Barbato, da tenente vengo promosso capitano dei Cacciatori di linea con encomio solenne letto davanti alla truppa il 3 febbraio 1861.
il 18 febbraio tutta la flotta francese lascia la rada e Gaeta viene circondata dalla terribile artiglieria navale piemontese che non risparmia più nessuno, colpendo la città notte e giorno.
Il 19 febbraio gran parte degli ambasciatori esteri – russo, prussiano, belga, portoghese, brasiliano, granducale toscano – partono da Gaeta per Roma. Rimangono il Nunzio pontificio, il diplomatico spagnolo, l’austriaco, il bavarese, il sassone.
Nello stesso giorno una nave mercantile francese porta a Messina 600 tra donne e bambini di militari borbonici siciliani; un altro mercantile sbarca a Terracina 250 soldati ammalati o feriti; un altro ancora riesce ad eludere il blocco navale piemontese e rifornisce di un po’ di viveri la stremata guarnigione.
Il 22 gennaio le 22 batterie d’artiglieria borboniche di Gaeta iniziano a tirare contro le postazioni piemontesi che da giorni si stavano preparando all’assalto finale riuscendo a spegnere il fuoco della loro batteria San Giacono e ridurre al silenzio la batteria piemotese dei Capuccini.
L’artiglieria piemontese riprende il bombardamento da terra e da mare. Quasi duecento bocche di fuoco, sparando in due giorni 12mila colpi di cannone cui hanno risposto undicimila colpi di cannone borbonico, con grande meraviglia dei piemontesi.
110 feriti e 21 morti tra i borbonici tra cui il maggiore Solimene comandante la batteria  Sant’Antonio; ferito il capitano De Filippis, comandante la batteria Regina.
Si ripetono scene incredibili: anche i feriti gravi gridano «Viv’o Rre e viva Napoli! Viva la regina Maria Sofia! Viva Dio Gesù e abbasso gli invasori e satana!»
Il marinaio militare napoletano Falconieri sulla spiaggia ha trovato una spigola uccisa da un colpo di obice piemontese e la offre al re e alla regina, che ringraziano e mandano il tutto cucinato agli ospedali per i feriti e ammalati.
Che sovrani, che giovani, Francesco e Maria Sofia! Brillano in mezzo ai loro soldati in armi, che difendono l’onore e la dignità meridionale di fronte alle menzogne degli invasori.
Il 23 arrivano barche di pescatori da Terracina con rifornimenti di viveri per la guarnigione e due barche da Napoli con dispacci del Comitato segreto borbonico.
Nella giornata i sovrani visitano sotto il continuo bombardamento piemontese gli ospedali e i bastioni, tra gli evviva commossi dei militari e degli abitanti di Gaeta.
Il 25 gennaio, in aggiunta alla diffusa tubercolosi, comincia l’epidemia di tifo: 6 generali ammalati, tra i quali muore il generale Riccardo de Sangro, aiutante del re. Il 3 febbraio muore il generale Ferrari.
Il 4 febbraio sotto il terribile fuoco di artiglieria piemontese di 2327 colpi di cannone saltano in aria 5 batterie d’artiglieria con 216 morti tra i soldati borbonici, tra cui il generale del Genio Traversa; il capitano del genio Paolo de Sangro viene ferito gravemente. Si contano 130 morti tra i civili.
Le cannonate aprono una breccia nelle mura, subito riparata dai soldati del Genio, mentre la casamatta reale viene danneggiata, senza fare vittime.
Il 7 febbraio il generale Cialdini accorda una tregua di due giorni per estrarre feriti e morti dalle rovine.
L’8 febbraio 200 malati e 100 feriti vengono negli ospedali di Napoli.
Due giorni dopo riprende il bombardamento piemontese cui rispondono le batterie superstiti borboniche; muore l’arcivescovo di Gaeta monsignor Criscuolo e per poco non salta in aria la batteria Sant’Antonio.
Domenica 10 febbraio 1861 i piemontesi sparano da 15 navi – insieme alla nave da guerra Monarca, ex borbonica – e 60 mortai da terra e 136 cannoni, riducendo a macerie e rovine tutte le case e le fortificazioni di Gaeta con 20mila colpi di cannone e di granate.
Il fuoco borbonico riprende con 10mila colpi di artiglieria riducendo al silenzio la batteria avanzata piemontese dei Cappuccini, a pochi metri da Gaeta.
La regina Maria Sofia la sera del 10 febbraio 1861 risponde alla lettera dell’imperatrice di Francia Eugenia, che la sollecitava a partire, che non si arrende e non lascia Gaeta con i suoi difensori … Rimane accanto a suo marito fino alla fine …
La sera i borbonici chiedono una tregua di 15 giorni per discutere la resa.
Al 13 febbraio sono 60mila i colpi tirati su Gaeta, cui hanno risposto i 30mila colpi dell’artiglieria borbonica, che ha ancora 29 batterie su 37.
Alle ore 15 del 13 febbraio salta in aria la batteria Philippstad distruggendo la vicina batteria Sant’Andrea; centinaia i morti e i feriti tra i borbonici sotto il fuoco nemico.
Alle 4, un ‘ora dopo salta in aria la batteria Transilvania, distruggendo la vicina batteria di Picco di Malpasso.
A questo punto il tenente generale Francesco Milton, che sostituisce l’ammalato generale Ritucci, manda alla villa di Caposele, a Mola di Gaeta, dove alloggia il generale piemontese Cialdini, i suoi inviati Roberto Pasca, viceammiraglio, il generale d’artiglieria dello Stato Maggiore Francesco Antonelli e il tenente colonnello Capo di Stato Maggiore Giovanni Delli Franci che firmano una resa onorevole con l’onore delle armi per la guarnigione e il permesso ai sovrani di ritirarsi via mare nello Stato pontificio.
La mattina del 14 febbraio 1861 alle 7 la Città di Gaeta viene consegnata ai piemontesi con gli onori delle bandiere, armi e bagagli, in parata a passo di battaglia con le fanfare in testa che suonano le marce militari borboniche.
I soldati dell’esercito duosiciliani saranno prigionieri di guerra fino alla resa delle guarnigioni di Messina e di Civitella del Tronto. Avranno poi la possibilità di unirsi all’esercito unitario conservando i loro gradi militari o ritirarsi con due mesi di paga alle loro case congedati da obblighi militari. I militari feriti e ammalati rimarranno negli ospedali con i soli medici militari, curati li fino alla guarigione e con le stese condizioni armistiziali di tutti.
Le pensioni di guerra agli orfani e vedove dei caduti di Gaeta saranno garantite dal nuovo governo unitario.
La sera del 13 febbraio 1861 il re e la regina ricevono il saluto delle autorità civili e militari, dei pochi diplomatici rimasti e di tutti gli ufficiali e soldati di basso grado in una commozione che si protrae per tutta la notte.
Alle 7 del mattino del 14 febbraio 1861 i sovrani vanno al porto e salgono sulla pirocorvetta imperiale da guerra francese La Mouette; un’ora dopo tra gli applausi e gli evviva di tutti i soldati e ufficiali della guarnigione partono con il loro seguito per Terracina per poi andare a Roma dal Santo Padre.
La banda militare suona la Marcia Reale di Paisiello e la batteria spara 21 salve di cannone.
Francesco 24 anni, Maria Sofia 19, bellissima come sempre …
Su Torre d’Orlando i piemontesi della brigata Regina alle 10 ammainano la bandiera borbonica e innalzano quella italiana; così sul porto, sulla cittadella e sul fronte di terra, sugli ospedali militari.
Il 15 febbraio alle 8 sfilano le truppe della guarnigione borbonica, con in testa le fanfare e le truppe estere, 2000 tra bavaresi, francesi, svizzeri in ordine di parata di guerra.
Depositano le armi, le bandiere e i cavalli, tranne le spade degli ufficiali.
Le truppe piemontesi hanno avuto 320 feriti e 46 morti nell’assedio, mentre i borbonici hanno avuto 502 soldati e 8 ufficiali morti in combattimento, 307 soldati morti di tifo e così 9 ufficiali, mentre i feriti in combattimento sono stati 543 soldati e 26 ufficiali.
98 militari rimangono a Gaeta negli ospedali sotto custodia piemontese accanto a 1684 malati di tifo e di tubercolosi.
I 1100 congedati mandati via nel novembre 1860 a Terracina e 2000 il 5 dicembre 1860, 550 feriti e malati ricoverati in Napoli in gennaio 1861 e poco più di 10mila prigionieri di guerra il 15 febbraio 1860 vengono ripartiti nelle carceri delle isole di Ponza, Ventotene, Procida e altri luoghi in attesa della resa di Messina e di Civitella del Tronto.
A questo punto intervengo personalmente: quei prigionieri non saranno liberati neanche al 21 marzo 1861; infatti il 23 novembre 1861 i prigionieri di Ponza protestarono tramite i giornali denunciando questa situazione.
I malati di tifo e di tubercolosi e i feriti vennero ufficialmente mandati via da Gaeta il 23 marzo 1861 con la possibilità di tornare alle loro case, ma in realtà le cose andarono diversamente: nel 1947 ne furono ritrovati i corpi in una fossa comune, fucilati dai piemontesi nell’arco di tre giorni a fine marzo 1861 e sepolti fuori le porte della città.
L’ordine di fucilare oltre 2000 uomini tra ammalati e feriti ovviamente venne dato da Cialdini.
Nell’aprile del 1861 20mila soldati e 3200 ufficiali borbonici vennero inquadrati nei reggimenti italiani e mandati in servizio in Italia del nord, lontani dalla loro Patria perduta.
32mila furono i prigionieri di guerra tra l’ottobre 1860  e il dicembre 1861 che non vollero passare all’esercito unitario, neanche dopo l’amnistia sabauda del 14 dicembre 1861 concessa da Vittorio Emanuele II ai militari borbonici che si erano costituiti o arresi.
8 mila furono espatriati a forza per l’America del Nord tra il 1860 e il 1861, a combattere per una guerra civile che non era la loro, imbarcati su navi americane sia confederate che unioniste.
Dei 32mila soldati irriducibili che non abiurarono mai la loro fedeltà ai Borbone Due Sicilie si sa che 2000 furono rinchiusi a Milano, 8000 a Fenestrelle e 12mila a San Maurizio Canavese e altri 10mila tra Liguria, Torino e Sardegna.
Di altri prigionieri si sa che tra il 1861 e il 1862 in 8mila vennero rinchiusi in condizioni atroci in Sicilia e 10mila in Campania.
Nella scellerata politica di genocidio attuata dal governo unitario 5645 prigionieri di guerra furono fucilati in carcere in tutte le provincie di Napoli tra il 1861 e il 1864; altri 10mila furono fucilati nel 1865.
Viva l’Italia unita.
Questa è la vera storia unitaria in parte narrata dal mio bisnonno Luigi e in parte integrata da me con altri suoi appunti sparsi e con storie di famiglia.
Come Luigi di Iorio di San Barbato ce ne furono tanti e pochi sopravvissero alla ferocia umana. Altro che Questione meridionale!…
Fine della terza e ultima parte.

Michele Di Iorio

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