Cuma e la sua celebre focaccia

scavi-cumaIl luogo dove sorge Cuma, città fondata dai greci provenienti da Ischia, fu scoperto nel 1050 a.C. dai condottieri Hippocles  e Megasthenes sulle floride coste della Campania. Nel 750 a.C. una colonia di greci  calcidesi ed eolici emigrati da Siracusa e Messina, Paestum e Ischia vi fondarono la città, fondendosi con i pacifici pastori e agricoltori celti del gruppo etnico osci sedicini del villaggio italico preesistente.
Sul posto erano presenti già le grotte platamoniche risalenti al diluvio del 12mila a.C., scavate da una misteriosa razza di greci cimmeri abitanti di spelonche che avevano conquistato pacificamente la Puglia e la Sicilia. Dal 10mila a.C. si erano diffusi in Campania in quella zona: vestiti di bianco con bei calzari, gli altri greci li identificavano come i superstiti del disastro di Atlantide. Si fecero guidare dai responsi della Sibilla, oracolo apollineo come la Pizia di Delo. Fu proprio in base ad un suo oracolo che nel 680 a.C. venne fondata Cuma e quindi Miseno, Pozzuoli e poi Partenope, il primo nucleo di Napoli.
I cumani si scontrarono con la potenza confederale etrusca o tirrena che occupava nord e centro della penisola italica e che dal Lazio dilagò prima nell’alto casertano e quindi Castelvolturno, Nola, Ercolano, Paestum e in gran parte del salernitano. Nel 524 a.C. gli etruschi furono sconfitti dai greci guidati da Aristodemo e poi nel 508 a.C. e nel 490 a.C. Infine nel 476 a.C. nel golfo di Cuma venne distrutta la superba flotta tirrena con l’aiuto greco di Agrigento e di Siracusa. Napoli, la Palepolis greca venne ricostruita e ampliata e divenne Neapolis.
Con l’arrivo dei romani nel 334 a.C.  a Cuma fu concesso il diritto di civitas sine suffragio, ovvero un livello di cittadinanza della Repubblica senza voto, ma ebbe proprie milizie vestite alla greca al fianco dell’esercito. Le fu consentito di perpetuare usi e costumi civici e religiosi, compreso il culto della Sibilla Eritrea, l’antica profetessa che presiedeva l’oracolo di Apollo a Eritre, una città della Jonia di fronte a Chios. I libri sibillini venivano custoditi a Roma nel tempio di Apollo sul Campidoglio. Fu inoltre una municipalità al pari di Roma, e nei documenti ufficiali poteva usare sia la lingua greca che latina e coniare una propria moneta.
La focaccia greca di Cuma era molto rinomata ed è stata citata da diversi storici, come Dionigi di Alicarnasso nel 524 a.C., poi Ephoros, Scimmo e Strabone, Diodoro nel 438 e Tito Livio nel 424 a.C., Giovenale e Stazio nel 65 a. C. Fu gradita anche al generale Marco Vipsanio Agrippa, artefice della base navale romana di Miseno e del porto segreto lacustre militare del lago Averno in nome di Augusto imperatore, che nel 47 a.C. si scontrò con la flotta di Sesto Pompeo.
Si racconta racconta che la focaccia cumana piacesse anche all’imperatore Claudio e dal figlio Nerone, che l’assaggiò in occasione della sua visita a Baia Cuma e Miseno  nel 67 d.C. L’antenata della pizza napoletana piaceva anche al generale bizantino Belisario che la gustò quando occupò Cuma nel 536 d.C. e cosi al suo nemico Totila, capo dei visigoti, nel 542 d.C.
Cuma fu sempre un luogo ambito e prosperò sotto le varie dominazioni. Nel 1207 venne distrutta da una spedizione di cattolici provenienti da Napoli e Pozzuoli per stroncare la base saracena da cui partivano le incursioni sul litorale. Le sopravvissero però le sue tradizioni nei vicini villaggi di Bacoli, Miseno, Baia, Monte di Procida, del Fusaro.
Archeologi al servizio di re Carlo III di Borbone effettuarono scavi per ritrovare le rovine della città perduta. Tutta la zona con i suoi boschi e laghi divenne distretto reale di caccia dal 1738. Dopo una sistematica bonifica portata avanti da Ferdinando IV nel 1758 venne riscoperta la masseria sotto l’acropoli di Cuma con la statua del gigante, le terme, l’acquedotto e una serie di necropoli greco-romane e paleocristiane sotto la zona sacrale delle Sibille, che però all’epoca non venne trovata.
Si racconta che nel 1782, durante la costruzione del real casino da pesca sul lago Fusaro a cura del real architetto Vanvitelli, i cuochi del posto inviarono pesci, cozze, vongole, spaghetti, seppie, polipi e  naturalmente le famose pizze con peperoni, o melanzane, con patate e più tardi con basilico e pomodoro. Così all’inaugurazione dei lavori di bonifica della sopraintendenza regia dell’abate Galiani nel 1784 che durarono fino all’anno successivo.
Gli archeologi reali rinvennero lungo la vecchia strada per Cuma colombari o ipogei, tombe, ville, anfore, statue. In tutta l’area  furono trovati altri interessanti reperti fino al 1803, continuando i lavori con il restauro di Baia e delle fortificazioni del castello e della batteria d’artiglieria costiera di Miniscola. Fu riscoperto il sepolcro della Sibilla, la necropoli e l’anfiteatro, il tempio di Demetra sull’acropoli.
Da quel tempo la focaccia o pizza cumana divenne famosa in tutta la Campania, e fu l’origine della pizza greca e romana, come testimoniano i resti carbonizzati in parte di focacce e pizze ritrovati negli scavi di Pompei ed Ercolano.
Il culto della pizza cumana venne ancora più diffuso e tramandato dalla nuova trattoria cumana al Fusaro di Aniello Trentanella dal 1819, con grande felicità di re Ferdinando che ne era ghiottissimo.
Altro estimatore della pizza cumana fu il conte di Siracusa, il principe reale don Leopoldo e così il suo archeologo Giuseppe Fiorelli, già direttore degli scavi di Pompei e di Cuma dal 1852 al 1857. In questo periodo furono portati alla luce la terrazza dell’acropoli con la statua di Augusto, la via sacra romana e i tempi di Apollo e Giove. Dal1878 al 1893 vennero effettuati scavi al lago Fusaro e a quello d’Averno, ampliati poi nel 1903 da Emilio Stevens che portarono alla scoperta dell’intera necropoli di Cuma.
Prima di varcare la vecchia strada romana sotto all’Arco felice inaugurato nell’80 d.C. da Domiziano ancora oggi vi è una pizzeria locanda della famiglia dei Ciotola de Santis, discendenti da Jacopo, architetto regio della regina Giovanna I Durazzo. Qui la tradizione della pizza si sposa con l’antica focaccia di Cuma.

 Michele Di Iorio