Commemorazione della morte del Re Francesco II

Francesco II di Borbone

 
 
Il modo migliore per commemorare una qualsiasi persona, credo sia quello di ricordarne gli eventi correlati, magari poco conosciuti ai più.
Anche per il vituperato Re Francesco II di Borbone, ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, corre l’obbligo, in occasione dell’anniversario della sua morte, il 27 dicembre, di ricordarlo nelle sue opere poco note ai più, a prescindere da facili commenti ed encomi altisonanti che potrebbero correre il rischio di peccare d’imparzialità.
Mi riferisco al comportamento del Re, quando, ormai in esilio a Roma, fu raggiunto da alcuni emissari del re Vittorio Emanuele II che gli offriva la sottoscrizione di un patto. Com’è noto, durante l’esilio Francesco II di Borbone fu privato di tutti i suoi beni: i Savoia e gli stessi garibaldini, appena invaso il Regno, fecero incetta di tutti i tesori che custodiva il Banco di Napoli e Sicilia e delle Casse dello Stato Borbonico, al pari del sacco di Roma perpetrato nel XIV secolo dai Landskneckt, i Lanzichenecchi.                                                                                                                    Nel cumulo aureo finirono anche i beni personali di Casa Reale, i maggioraschi e le rendite dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, il cui Gran Maestro era lo stesso Re.
Per gl’immobili  si effettuò una vendita all’incanto; più volte il Sovrano in esilio richiese il maltolto all’invasore Savoia, ma questi osteggiò la trattativa in tutti i modi.
Persino la Spagna, per riconoscere il nascente Regno d’Italia, e quindi riaprire i rapporti diplomatici, impose una clausola che prevedeva la restituzione dei beni personali del Re Francesco II. Al legato spagnolo il generale La Marmora rispose che l’inventario dei beni era molto vasto e, quindi,  sarebbe occorso molto tempo per discernere i beni dello Stato da quelli personali. Solo menzogne di bassa lega per prendere tempo!
Anche la Russia aveva imposto la stessa clausola, ma, poi, si  accordò con i Savoia e con Napoleone III, e  verso la fine del 1860 lo Zar Alessandro II riconobbe il Regno d’Italia.                                                                                                                                L’ultimo Zar, Nicola II, morirà della stessa rivoluzione che il suo predecessore aveva appoggiato in Italia, sia pure con idealità differenti.
Ritornando al patto che fu proposto a Francesco II dal Savoia, si trattò di una vera e propria azione degna di cosa nostra: si offriva la restituzione di tutti i beni sequestrati al Re a patto che lo stesso si allontanasse da Roma ed andasse in esilio all’estero, poiché la sua presenza nella Città Eterna, in un certo qual modo, era d’incitamento e di sostegno ai cosiddetti briganti; inoltre, avrebbe dovuto dichiarare fuorilegge tutti coloro che vollero fino in fondo difendere la loro terra e il loro vessillo, nel quale si riconoscevano. La risposta che lo stesso Francesco II  diede al diplomatico francese La Valette ha del sublime: affermò che lui non poteva  disconoscere quanti valorosamente combattevano in suo nome e sotto la bandiere di quello che fu il suo perduto Regno. Si nominò, addirittura, capo dei briganti dichiarando che i suoi beni non  erano nulla di fronte a tanto sangue versato valorosamente  per una causa giusta, che era la sua causa. E così non indietreggiò nemmeno di un passo su quella gloriosa decisione.
Frattanto, nell’ex Regno l’8 dicembre 1861, festa dell’Immacolata Concezione, Protettrice del Regno delle Due Sicilie, i camorristi di Torre del Greco spogliarono la statua della Madonna che era nella Basilica di Santa Croce e la cinsero di abiti massonici con fascia tricolore in vita.
Di lì a poco il Vesuvio eruttò e la terra tremò fortemente. Anche Iddio e la Madonna fecero capire apertamente come la pensassero circa l’Unità d’Italia e la tracotanza dei massoni e dei camorristi.
Il terremoto fu tremendo e numerose furono le vittime con circa 22mila sfollati. Da Roma il Re Francesco II che, come abbiamo detto, certo non navigava nell’oro, anzi conduceva una vita molto dimessa, trovò il modo di far recapitare all’Arcivescovo di Napoli Sisto Riario Sforza la somma di mille ducati d’oro in favore delle popolazioni colpite dal sisma e dall’eruzione del Vesuvio.
I Piemontesi? Ecco come furono generosi e magnanimi: Luigi Carlo Farini, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, originario di Russi nel  Ravennate,  donò 10 franchi, Garibaldi inviò una lettera al cardinale Sforza, e Vittorio Emanuele II di Savoia nemmeno quella.

Luigi Andreozzi Colonna di Stigliano