Carpe Diem e poi una dolce coccola

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Sabato 21 Settembre, equinozio di autunno. Alle ore 9.30 ho appuntamento con un gruppo di fotografi guidati dal fotografo napoletano Marco Maraviglia, per un workshop, una passeggiata fotografica sulla via pedementina, una antica strada che congiunge la parte alta di Napoli, dalla certosa di San Martino al Corso Vittorio Emanuele.
Avevo prenotato un posto per accompagnare mia figlia Valeria, la sua prima esperienza, la sua prima uscita con un gruppo di fotografi professionisti
Arriviamo leggermente in ritardo, ci stavano aspettando.  La luce da là sopra era tersa, limpida, la città tutta era sotto i nostri piedi, maestosa. Sulla sinistra la sinuosa linea del Vesuvio per niente invitante per la sua intrinseca pericolosità.
Marco Maraviglia, il tutor, ci viene incontro, ci saluta calorosamente, ci presenta gli altri fotografi intervenuti  e  inizia ad illustrare il tema della giornata: fotografare è come un atto d’amore.
Devo dire che è stato veramente piacevole. Una stupenda mattinata all’insegna della leggerezza.
La vera leggerezza non è mai superficialità.
Il suo modo di parlare di fotografia, a tutto campo, dall’aspetto tecnico a quello linguistico e poetico, mi è piaciuto molto. In particolare il parallelo che ha saputo costruire tra il gesto fotografico e l’atto d’amore. Ad un certo momento era come assistere ad una lettura incrociata resa con estrema leggerezza, di due libri di un grande semiotico, Roland Barthes, in particolare mi riferisco a: Frammenti di un Discorso Amoroso e Camera Chiara.
La leggerezza non è mai superficialità e nel suo discorso, l’approccio, l’appuntamento, l’attesa, il contatto, le coccole, ovvero tutte le categorie di segni linguistici individuati da Barthes nel discorso amoroso diventano i momenti significativi del gesto fotografico.
Con il sorriso sempre stampato sul volto, zio Marco, come ama farsi chiamare dai suoi amici il fotografo Maraviglia dice ai fotografi che lo seguono che “Fotografare implica riservatezza, c’è bisogno di essere soli per vivere il Carpe Diem”.
Concentrazione, riservatezza, solitudine, condizioni necessarie  per viverle l’attimo  in tutte le sue sfumature.
Mentre Marco parlava  di queste cose, i miei pensieri  non potevano non andare ad un grandissimo maestro della fotografia di tutti i tempi, Henri Cartier Bresson. Il quale sosteneva che fotografare era mettere sulla stessa linea cuore occhio e cervello. Quasi in una visione Zen il grande fotografo ci suggeriva che il fotografo nel momento dello scatto era lui stesso e allo stesso tempo era anche lo strumento per fotografare e il soggetto che stava per fotografare.
Il fotografo nel momento dello scatto doveva sentirsi parte del tutto, come un arciere Zen, solo così poteva immergersi in quella frazione di tempo in una dimensione altra e percepire qualcosa che raccontava allo stesso tempo ciò che stava accadendo e non sarebbe più accaduto, ciò che lui aveva percepito di quel frammento spazio temporale e allo stesso tempo un frammento di sé stesso.
Il mio auspicio è che incontri del genere dovrebbero svolgersi più frequentemente, sono salutari sia per una conoscenza dei luoghi della nostra città, sia per una educazione visiva alla costruzione di una immagine fotografica.
Oggi siamo abituati a consumare immagini in un modo velocissimo, vertiginoso, ma ciò che con la lentezza possiamo vedere e digerire dentro di noi, attraverso i nostri occhi, immersi nella realtà che intendiamo raccontare come se fosse un atto d’amore, nessuna potentissima e velocissima  tecnologia potrebbe realizzarla.
Grazie.

Mario Scippa