Appunti su Psyco (1960) di Alfred Hitchcock

Alfred Hitchcock si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Era il febbraio 1960, insolitamemente piovoso e freddo per la California e la zona di Bel Air, Los Angeles, dove si trovava.
Si sentiva come oppresso da un peso che lo strizzava: qualcosa che riempiva  e penetrava ogni poro.Rimase col busto alzato in mezzo al letto. Cercò di fare una specie di veloce esame su di sé.
Era sudato. Per prima cosa si assicurò del battito del cuore: era regolare, forse un po’ accelerato.
Guardò accanto a sé la sagoma della moglie Alma, nel buio appena distinguibile: dormiva saporitamente, con i bigodini che le disegnavano la testa appoggiata sul cuscino in modo strano.
Il respiro era regolare, accompagnato da un leggero ronfare, delicato e ritmato: ma avvertibile. Come al solito, la guardò con un affettuoso sorriso, perché gli veniva in mente che lei negava risolutamente, con l’espressione addirittura scandalizzata, che anche lontanamente da lei esalasse il benché minimo  accenno di rumore notturno.
Si domandò se era il caso di svegliarla e di farla partecipe di questa veglia: “E perché poi? – si disse – A che sarebbe servito? Tanto il discorso sarebbe uscito lo stesso all’indomani e ne avrebbero parlato.”
Aveva avuto due “episodi cardiaci”, così li definiva con noncuranza, per sminuirne l’importanza: ma era preoccupato che la cosa si ripetesse.
Erano stati due infarti. Lui lo sapeva. E ne aveva avvertito la gravità dalla faccia che faceva la moglie: triste, addolorata  e anche un po’ arrabbiata, contemporaneamente.
Ovviamente lui sapeva il perché: mangiava troppo e con troppo gusto. La parola dieta, e il suo stesso concetto, di cui pure i medici gli avevano martellato la necessità, lo irritava.
La sentiva come un’indicibile violenza. Il non potere cibarsi all’avvertire dello stimolo dell’appetito, lo tendeva, gli faceva venire unsenso di nullità “Come un bambino..”, si disse, mentre si dirigeva, quatto e guardingo come un gatto verso la cucina.
Troppo forte era la tensione: questo film su cui stava lavorando, “Psycho”, e di cui era alle battute finali in postproduzione; lo stava letteralmente uccidendo, lo stava svuotando dentro di ogni energia.
Lui ne era anche produttore, perché gli Studios non ne avevano voluto sapere e la cifra che egli aveva dovuto direttamente impegnare, di tasca sua, per avere altri interventi produttivi di più piccola entità e soprattutto gli anticipi delle banche, era molto elevata: 60mila dollari.
Aveva ipotecato questa sua stessa casa, che aveva comprato col suo lavoro: e sentiva di aver coinvolto, oltre ogni misura sia sua moglie che l’incolpevole figlia Patricia. Si sentiva in colpa verso di loro.
Tutto ciò aumentava  il carico di autocompatimento; gli metteva un senso di angoscia troppo invasivo perché non sentisse il bisogno fisico di tacitarla con un’energica spalmata del suo appetitoso foie gras (di cui era notoriamente ghiotto), su più fette, belle grosse, di pane.
Se lo era fatto venire di nascosto. Ma sapeva benissimo che era un gioco delle parti: lui sapeva che Alma sapeva esattamente dove e che cosa era nascosto …
Come per i bambini viziati, si disse mentre trangugiava il pane con sopra lo spesso strato dell’eccellente mistura. Il sapore era squisito: perfettamente equilibrato tra salinità, liquida e leggera viscosità, sentore di asprigno ferroso e delicata composizione degli emulsionanti naturali che ne attutivano, senza farla scomparire del tutto,la caratteristica portata.
Era una goduria lenta, intensa e concentrata, che egli cercava di prolungare il più possibile trattenendo la masticazione quanto più lenta gli riusciva. Sentiva il bolo in bocca diluirsi quasi del tutto nella salivazione, e allora, come in trance, lo inghiottiva: e anche su questa operazione cercava di soffermarsi, per esaltarne la portata finale di passaggio tra il boccone che aveva, ormai definitivamente, preso la via dello stomaco, e il prossimo che era sul punto di addentare.
Però vedeva quasi il precedente mentre scendeva lentamente lungo l’esofago, prima di adagiarsi sul  tessuto dello stomaco, con una lenta movenza di caduta (lui così cercava di immaginarne il percorso …),  nel mentre stava per essere  attaccato dagli spietati succhi gastrici, che ne rendevano inconoscibile la delicata situazione di partenza.
Già si sentiva meglio, rispetto all’ansia di prima, che l’aveva svegliato, si disse, mentre continuava a mangiare e a goderne. Si vide lì in vestagliona, che oltre a essere amplissima era ipercolorata, perché quello era il suo gusto in casa: grosso, corto e grasso.
Si fermò a riflettere su questo. Sapeva che era colpa sua (nessuno lo “obbligava” a ipernutrirsi …), che era così grasso.
Lui avrebbe voluto diventare più magro: ma proprio non ce la faceva: un po’ si disprezzava, si disse, mentre addentava con voluttuosa sofferenza un altro intenso boccone di pane e foie gras: assaporava e stava male …
E proprio per questo  era così grasso. Pensò che Norman Bates, il protagonista del film (l’attore AntonyPerkins), era magro, perché come il cesaricida Cassio del “Giulio Cesare”, era preso dai suoi rovelli interiori: anzi, ne era devastato; in ogni più minuta parte della sua anima.
Se avesse voluto nutrirsi, ovvero lasciarsi andare, come lui, al piacere del cibo, sarebbe stato portato a spostare la sua rabbia contro se stesso: ed era ciò che faceva lui stesso rimpinzandosi a quel modo osceno, si disse Alfred  trafiggendosi ancora di più con la colpa e l’auto commiserazione. Ma almeno non avrebbe ucciso.
È in uscita sui nostri schermi il film “Hitchcok”, intrepretato da Antony Hopkins, mentre la grande Hellen Mirren è la moglie Alma, che parla della complessa gestazione del capolavoro hitchcockiano del 1960.
(Foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi