Alfredo Imparato, l’ultimo menestrello

 

Prima di addentrarsi nella disanima del personaggio oggi proposto – i lettori consentano quest’amara constatazione – qualcuno si è mai chiesto cosa significa e da dove deriva  il termine posteggiatore?
Ebbene, e ciò non sorprende, se si provasse a chiedere in giro chi sono i posteggiatori, la quasi totalità degli interpellati risponderebbe e senza tentennamenti « È il guardamacchine!» ovvero l’addetto (quando autorizzato) al controllo delle autovetture parcheggiate nelle apposite aree.
La convinzione è anche che, paradossalmente, se lo stesso quesito venisse rivolto a un qualunque turista in visita nella nostra città, americano, giapponese o tedesco che sia, un’alta percentuale darebbe la giusta risposta alla nostra domanda.
L’esempio è emblematico: termini una volta conosciuti ai più oggi sono dimenticati del tutto.
Tutto ciò deve far  riflettere e stimolare ad operare affinché si possa recuperare la “memoria perduta”; in generale e non solo nel campo della musica.
Per quanto possa concedere lo spazio , in pochi concisi passaggi si cercherà di illustrare e possibilmente dare delucidazioni su quella che fu una delle espressioni artistiche più nobili e genuine che la città di Napoli, e non solo, abbia espresso in una categoria d’artisti  invidiataci da tutto il mondo : i Posteggiatori.
Storia antica, si potrebbe ribattere; in effetti  questo è assolutamente vero; tanto che, già in un documento datato 31 agosto 1896, il critico Saverio Procida, ammoniva ironicamente il musicista Carlo Clausetti, direttore della sede di Napoli di casa Ricordi, prevedendo che nella compilazione del numero unico della Piedigrotta di quell’anno sarebbe stato certamente dimenticato il maggiore artefice dei successi piedigrotteschi: il cantante posteggiatore.
Forma artistica, quella della posteggia, di origine remotissima; eredi di rapsodi, menestrelli, trovieri, tzigani, giullari, i posteggiatori che per secoli allietarono taverne, borghi e “allegre brigate” con la loro musica. Questi oscuri personaggi, in quei luoghi o presso le cosiddette stazioni di posta, esercitavano la propria arte.
Stremati passeggeri dopo lunghi viaggi in carrozza o diligenza, solo in questi locali adibiti anche al ritiro della posta, potevano finalmente riposare e rifocillarsi.
Nel frattempo, i postiglioni, ovvero i guidatori dei mezzi di trasporto … il motore a scoppio doveva ancora arrivare), riposavano anch’essi e provvedevano al foraggio per i cavalli e al loro cambio.
Qui entravano in scena i nostri protagonisti; originariamente questi artisti di strada, si esibivano nella classica formazione a cinque (arpa,violino,flauto,triangolo e voce).
Negli anni molte formazioni raggiunsero un numero  cospicuo di elementi con l’aggregarsi di gruppi di danzatori; le loro  genuine esibizioni  vivevano nell’attesa, speranzosa, di un ben misero guadagno.
Ecco svelato l’arcano: il termine posteggiatore, non è altro che riferito alle stazioni di posta.
I primi musici  posteggiatori furono i veri ambasciatori della nostra arte canora nel mondo.
A cavallo tra l’800 e il ‘900 alcune famose formazioni partenopee vennero addirittura invitate in tournèe presso le corti delle monarchie europee.
Di seguito ecco citati alcuni dei gruppi  più famosi o singoli esecutori  che ebbero il merito  di tracciare un’irripetibile solco utilizzato poi con profitto dalle successive generazioni canore.

La “Troupe Di Capua” diretta da Giacobbe,violinista, padre del celebre  Eduardo Di Capua, celebre compositore di canzoninapoletane;


, nome d’arte di Giuseppe di Francesco, letteralmente “rapito” dal mitico compositore Richard Wagner, che lo ospitò per alcuni anni nella sua residenza tedesca;  la “troupe Della Rosa” , che con i celebri cantori denominati ” I figli di Ciro ” chiusero un periodo , definito dagli storici del settore il “Secolo d’Oro” della canzone napoletanil leggendario “Zingariello”

Zingariello da giovane


 
 
In tempi più recenti, si ricordano Giorgio Schottler
 

Vincenzo Marmorino
Vincenzo Marmorino

 
e l’ensemble di Efisio Pistis
Pistis, Faraco con altri in tv

 
e si potrebbe continuare all’infinito.
La canzone napoletana è forte debitrice nei confronti di questi  veri “pionieri”, i cui nomi, purtroppo, sono caduti nell’oblio più assoluto.
«Finché c’è vita c’è speranza!» afferma un antico detto; lo potremmo adattare in  «Finché c’è musica c’è speranza! … »
Fortunatamente c’è ancora un degno erede di quei meritevoli artisti: Alfredo Imparato (foto in primo piano) ,napoletano, classe 1952, di professione bidello, autodidatta, definito da un noto giornalista napoletano  “l’ultimo menestrello della canzone napoletana”.
Il giudizio è certamente appropriato: Alfredo Imparato è artista nel più vero senso del termine ed abbina qualità oggi difficilmente riscontrabili nel mondo dello spettacolo.
Affabilità e cortesia, Imparato fa della genuinità e della modestia il suo credo; resta peraltro forse l’unico cantore-girovago della nostra metropoli.
Lo si può incontrare,nella zona delle storiche librerie di Napoli, a Port’Alba e piazza Dante, in  piazza San Lorenzo ai Decumani, ma non disdegna qualche puntata al Vomero, i, via Scarlatti o via Luca Giordano, o anche nella zona di Chiaia.
Accompagnandosi con la chitarra o il mandolino, Imparato si esibisce nel suo personale repertorio composto da celebri e note melodie … a richiesta e accontenta gli astanti con l’esecuzione di  antiche e dimenticate canzoni.
Da sottolineare la sua estrema e disinteressata adesione ad  iniziative a sfondo benefico e didattico: spot contro la camorra, spettacoli per scolaresche, raccolte fondi per scopi umanitari e chi più ne ha più ne metta.
Suo ultimo, meritevole impegno, dove ha meritato una vera standing-ovation da parte dei presenti: il recital al noto Istituto di riabilitazione giovanile napoletano.
L’auspicio è che l’esempio del Maestro Imparato venga seguito sempre da più artisti, rigenerando, così, una benemerita categoria altrimenti, destinata a scomparire del tutto.
(Foto gentilmente concesse dall’’autore dell’articolo)

Ciro Daniele