A me il calcio non piace

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Vico LammatariDomenica sera ho visto la finale del Mondiale per vedere giocare il fenomeno Messi, che tutti paragonano a Maradona; il quale però andava oltre, anche oltre il calcio.
Ho avuto la conferma a ciò che ho sempre pensato.
Il calcio è solo uno strumento per creare falsi miti. Uno strumento per far girare milioni e milioni di euro. Uno strumento in mano allo strapotere economico, alle multinazionali che pensano solo al profitto e comandano le politiche mondiali. Uno strumento in mano al potere politico – nel caso dei mondiali al potere politico internazionale – per anestetizzare i popoli, e farli piangere o sorridere tutti insieme, a loro piacimento, distraendoli da altre questioni.
Ho sempre avuto un’avversità per il calcio, non è colpa mia, da sempre.
Mi ricordo quand’ero ragazzino, preferivo giocare a pallavolo, però tutti, nel vicolo dove sono nato e cresciuto, volevano giocare a calcio e io ero costretto a giocarci per non rimanere solo. Dicevano che la palla a volo era un gioco da femmine, e che io ero ricchione perché la volevo giocare. Per far vedere che non ero ricchione, giocavo a calcio, ma a porta.
Sì! Mi facevo mettere sempre in porta.
Tante volte si giocava a porta libera, senza portiere, tutti volevano calciare e nessuno voleva fare il portiere. Visto che non mi piaceva, ma dovevo giocare per dimostrare che non ero ricchione, andavo io a porta. Però, l’altro portiere non c’era quasi mai, allora si giocava ad una porta e con un sol portiere, io.
Era il vico Lammatari quel vicolo, nel famoso Rione Sanità a Napoli. Su quelle pietre per terra, ‘ncopp”e vasule d”o vico, ci sono cresciuto.
Giocavamo spesso a calcio in un angolo all’inizio del lungo vicolo, era chiamato da tutti  ‘npont”a culonna  per la presenza di un paracarro di piperno all’angolo. Quella piccola colonna consumata dal tempo e dalle ruote dei carri, lo usavamo come uno dei pali della porta.
Lì vicino c’era un portoncino grigio,  era la casa di donna Marenella ‘a verdummara, all’inizio del vicolo  che affacciava su via Arena Sanità, a due passi dal famoso palazzo del Sanfelice, teneva un banco di fruttivendola. Lei era la donna più rispettata del vicolo, d”o vico ‘e vascio.
Sì! d”o vico ‘e vascio, avete capito bene, perché il vicolo era diviso in tre parti: ‘o vico ‘e vascio, per l’appunto, poi ‘o vico ‘e miezo – in prossimità di traversa Lammatari dove c’era la farmacia Lammatari, una traversa che divideva il vicolo in due parti uguali – e infine ‘o vico ‘e coppo, che affacciava sulla piazza della Sanità.
Guai a noi bambini a giocare col pallone davanti casa sua, era la guerra. Donna Marenella urlava come una strega, e tanto che faceva e tanto che diceva, era capace di sequestrarci il nostro Super Santos, urlando a squarciagola: «Ma ca d‘è sta guainella c fore? Jatevenne ‘o vico ‘e coppo, luvateve ‘a cc‘annanze, ca si nò ve schiatt”o pallone!»
Puntualmente si metteva in mezzo don Rafele. Era il marito, una brava persona; era sempre silenzioso, camminava zoppicando, appoggiato ad un bastone, aveva sempre in testa una coppola a quadrettini grigi, anche d’estate. Si metteva in mezzo e, prendendola con le buone ci faceva ridare sempre il pallone; ci sapeva fare lui!
Don Rafele era un vecchio saggio, era l’unico nel vicolo a saperla convincere, quella vecchia strega di donna Marenella. E tutto iniziava di nuovo.
È una avversità con il calcio che ho dentro da sempre, da bambino. Sono riuscito ad apprezzarlo solo quando vidi giocare Maradona per la prima volta.
Ma è un’altra storia: non era calcio, era poesia, musica, arte. Non capisco come si possa anche minimamente paragonare Maradona a Messi.
I soldi hanno potere, e il potere  i soldi.

Mario Scippa