'A ggente. Fotografie di Antonio Manno

Tre vasi di terracotta.
Terra bruciata del fuoco  nei volti e negli occhi, speranze, amori, paure, desideri, sogni, vuoti e pieni di allegre di malinconia.
‘A ggente. La gente, la fotografia di Manno sembra essere la fotografia di altri tempi, sembra essere la fotografia di quei grandi fotografi che se non raccontavano con la luce la tragedia della vita per loro non era fotografia.
Guardo le sue foto e penso a Henri Cartier-Bresson a Joseph Kudelka, Robert Doisneau, Ferdinando Scianna, Mario Giacomelli, a tutta quella scuola di pensiero prima e di fotografia poi che mette l’uomo al centro di ogni narrazione, l’uomo e il suo personale tempo.
Dai grandi, veri maestri della fotografia, umilmente ha fatto sua la concezione del tempo come vero protagonista delle sue immagini.
Il tempo: la sua fotografia vive di vita propria non un attimo prima, né un attimo dopo,  la scena  davanti ai suoi occhi si consuma, muore come disse Roland Barthes, e il fotografo dona a quell’istante, ormai morto per sempre, una nuova vita, una nuova vita eterna, proiettando la drammaticità dell’esistenza in una dimensione estetica dai forti contrasti fatta di luce e di ombre.
Manno non ricerca mai l’effetto spettacolare, per lui lo spettacolo di una immagine risiede negli occhi della gente, nelle rughe, nei gesti, nella luce che esalta o attenua le espressioni.
Ogni sua fotografia è una chiara citazione ai grandi, veri, maestri della fotografia, espressa non con uno spirito intellettuale, razionale, o peggio con quella esagerata volontà di narrare e di parlare con e per citazioni, ma con un naturale, umile, atteggiamento di chi dentro di sè ha metabolizzato la lezione dei grandi.
Senza alcun timore, ma con umiltà si confronta con l’immagine di Bresson, una immagine riflessa nel suo spazio; incarna e rivive quella dimensione da fuori, silenziosamente, assorbendo la magia del ritratto di un momento che sta per svanire, la sua maternità di spalle guarda, e si riflette nella maternità del maestro.
Bresson disse che fotografare è mettere sulla stessa linea l’occhio, la testa e il cuore.
Questo suggerimento sembra essere diventato, guardando le fotografie di Manno, una regola fondamentale per il fotografo.
Se sente che una di queste tre componenti del suo essere non è allineato in una immagine, per lui non è fotografia.
Quando abbiamo selezionato le fotografie, ha voluto inserire per forza quel balcone barocco, io non ero convinto della scelta, ma sono stato a sentirlo.
Sentirlo. Così come lui sta a sentire ciò che il tempo porta via davanti a suoi occhi.
Sentire, non ascoltare: avvertire con tutti i sensi un avvenimento.
Quel balcone, quel volto dietro i vetri, il silenzio dietro quei vetri, i riccioli di stucco come cimasa, il piano nobile di un ricco palazzotto settecentesco.
Tre vasi di terracotta, vuoti, la luce, forte dell’esterno entra, prepotentemente nel buio della stanza illuminando, forse preziosi arredi barocchi e affreschi al soffitto.
Cosa sta guardando? Chi c’è laggiù che cattura quella sua espressione interessata? Da quanti anni non scende da quella casa?
A’ ggente. Forse da là sopra guarda la gente. La gente.
Li conosce uno per uno quei volti. Conosce le loro storie, i loro tic. I loro sogni.
Conosce tutto di quella ragazza al centro di quella confusione in movimento si è fermata e lo guarda, negli occhi.
Chi sei tu  in mezzo a tutta quella gente che mi guardi e taci?
(Foto byAntonio Manno)

Mario Scippa

 Continua la rassegna Cum finis al Salotto Letterario Antichità Scippa a cura di Mario Scippa con la collaborazione di Paparo Edizioni con l’VIII appuntamento: ‘A ggente. Fotografie di Antonio Manno in mostra dal 20 aprile 2013 al 20 maggio.                                                                                                                
Vernissage  il 20 aprile alle 18.30.