A caccia in terra di Scozia

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Un nuovo racconto delle avventure venatorie di Gilberto Frigo, che con grande maestria ci fa volare fino in Scozia, facendoci respirare l’aria profumata e pungente di una terra ancora oggi selvaggia.
Buona Lettura!

Lo Speaker

A caccia con me in terra di Scozia 

Agosto1988. Era da tempo che sognavo la possibilità di vivere una  avventura venatoria in terra di Scozia.
Contattata una agenzia specializzata, prenoto  il viaggio che ci farà vivere una bellissima settimana, ricca di giornate indimenticabili.
Ci hanno programmato  la caccia a colombacci, grouse,  inclusa una giornata in battuta, due uscite con cani da ferma e due uscite dedicate alla caccia al colombaccio, animale che da noi passa raramente.
La nostra compagnia è composta da sei persone. Io con mia moglie e altri tre amici, dei quali uno accompagnato dalla moglie. Amici, Sergio e Piero, con i quali ho già cacciato in terra di Finlandia, a rieki, a forcelli, a cedroni.
Partiamo da Milano, aeroporto di Linate, destinazione Edimburgo, Scozia.
All’arrivo ad accoglierci troviamo l’organizzatore, un distinto signore pugliese che innamoratosi della Scozia, dei suoi esclusivi paesaggi, della caccia  lassù praticata, ha ben pensato di organizzare viaggi  per veri appassionati. Altri ospiti cacciatori, provenienti da Reggio Emilia e accompagnati dalle famiglie sono arrivati con noi.
Durante il trasferimento dall’aeroporto al paese  di Forfar, sede in cui saremo ospiti, possiamo ammirare le costiere sul mare del nord.
Incontriamo parecchie greggi di pecore che pascolano placidamente nei campi ai bordi della strada, altri coltivati a granaglie sono già rasati; vi sono le grandi rotoballe di paglia che punteggiano i prati di giallo, come fossero tante palline da golf.

Nei pascoli ancora verdi pasturano tranquillamente mandrie  di razza angus, pregiate per la qualità delle loro carni e particolari per il loro manto villoso che le protegge dai freddi venti invernali, classici di quelle latitudini.
Lo scenario di colline, prati, fiordi, mare, in lontananza si intravvedono i monti, riempie di stupore e di gioia il mio cuore montanaro, abituato a boschi e nude montagne, dove caccio la pernice bianca, il cedrone, il forcello.
Il tempo è nuvoloso, l’estate a questa latitudine è oramai un ricordo. L’aria frizzante mi ricorda più l’autunno. A Milano c’erano 30 gradi, qui a malapena 12, meglio coprirci.
Arriviamo all’albergo: è pulito, ma non di certo dei migliori. A noi viene assegnata una stanzetta piccola, striminzita, con un letto ad una piazza e mezza. Abituati come siamo a casa a vivere in una stanza di trenta m² ci sembra di soffocare.  Il letto, alti come siamo, sarà un calvario per le prossime notti!
Al mattino seguente, dopo una notte quasi insonne, l’organizzatore ci invita ad una piccola riunione per renderci edotti del programma di caccia dei prossimi giorni e per la distribuzione delle munizioni  che acquistiamo in loco.
In tutto siamo  una decina di cacciatori, distribuiti in tre squadre ed ognuna caccerà per proprio conto, a parte la giornata assieme in battuta.
Per adattarci all’ambiente, la prima giornata la passeremo a cercare i colombacci  nelle vicinanze del paese, fra campi coltivati e già falciati, boschi e radure. Una  passeggiata  più che una vera caccia. Spariamo molto, ma il colombaccio, veloce come il vento, vola via spesso indenne. Non è una preda facile. Si devono sparare molte fucilate prima di prendere confidenza con il suo volo.
Nel mezzo di un boschetto di abeti un animale vola via con gran frastuono di sbatter d’ali.
Ho subito  la sensazione che stia per involarsi un gallo forcello, tanto è grande e con la coda a  forma di forcella. Con un solo colpo ben assestato lo abbatto. Illusione, è un colombaccio. Altri ne prendiamo durante il giorno, ma va bene così.
Il carniere non è importante,ci divertiamo lo stesso e nel contempo impariamo a conoscere la campagna scozzese, con i suoi colori le piccole colline le radure, i boschi di abeti, di querce, tigli, frassini, i piccoli laghi.

Moltissime sono le tane di coniglio. Centinaia di buche nel terreno denunciano la sua presenza, ma in realtà non ne vediamo uno in tutta la settimana.
Piero, il nostro amico che già tempo prima aveva cacciato in terra scozzese, ci racconta di cacce  ai conigli selvatici, molto prolifici e dannosi, effettuate di  notte a bordo di fuori strada accessoriati con fari supplementari . Scorribande durante le quali ha sparato a parecchie decine di conigli.
Questi metodi  non fanno parte del mio modo d’intendere la caccia. L’etica del cacciatore deve dare sempre una possibilità alla preda.
A pomeriggio inoltrato ritorniamo all’albergo. Un po’ di riposo ci vuole.  Domani si andrà a cacciare le grouse in una località parecchio lontana, su terreni di altura, sulle Highlands.
La sera  a cena  abbiamo  la possibilità di fare conoscenza con gli altri ospiti  e le loro famiglie.
È gente molto per bene, simpatica e cordiale. Noi raccontiamo delle nostre avventure  al nord,  loro ci narrano dell’Iugoslavia, della caccia all’orso, al cervo, al capriolo, al camoscio, animali da trofeo che non fanno parte della nostra abitudine venatoria.
Tra di loro spicca una giovane coppia di sposi, tutti e due cacciatori appassionati. Titti la giovane moglie, alta, bionda, con una grinta invidiabile, ci racconta della sua esperienza con un capriolo ferito che per puro caso non l’ha  incornata. Dice che il capriolo, al vedere timido e schivo, come credevo, si tramuta in animale offensivo, pericoloso  se messo alle strette.
La serata si conclude con un brindisi di augurio per i prossimi giorni.
Il mattino successivo, dopo una breve colazione, ci ritroviamo all’esterno dell’albergo, dove ci attendono alcune automobili per  condurci lontano, sulle terre alte della Scozia del nord.
Il viaggio è lungo,  quasi due ore per arrivare.  La   strada percorsa è buona ma il paesaggio  invece è una novità ai nostri occhi .
Un susseguirsi di campi coltivati, intercalati da pascoli rigogliosi punteggiati di   mandrie, piccole colline, radi boschi di latifoglia, qualche laghetto.

Di quando, in quando si vede un castello, attorniato dal  grande parco alberato, la tenuta ben delineata e curata. Castelli di pietra, imponenti, affascinanti per la loro storia. Costruiti centinaia di anni addietro, servivano come centri di potere e di dominio, nei secoli hanno mantenuto la loro superba e austera bellezza.
Arriviamo alla fine della strada asfaltata e ci inerpichiamo su per strade sterrate.  La natura che ci circonda  è cambiata. La brughiera, la torbiera, sono  ora il nostro orizzonte.
Non vi è più alcun albero a vista d’occhio, solo eriche, rododendri   e qualche erba di montagna.
I colori  grigio-marrone della torbiera, il verde violaceo dell’erica, a volte bianca,  in Scozia si dice porti fortuna a chi la trova,  il bianco, il giallo dei fiori, formano uno spettacolo meraviglioso, sublime.
L’infinito ondulare delle colline, i brevi pianori,  gli affossamenti, caratterizzano quelle terre ed il mio pensiero va ai tempi in cui formavano  una grande e rigogliosa  foresta: abeti, castagni, querce, frassini, olmi.

L’uomo con la sua  ambizione, unita  pure alla necessità di trovare il legname adatto alla costruzione delle navi, che gli permettessero di conquistare i mercati del mondo e sottomettere i popoli con cui veniva a contatto, l’ha distrutta. Nulla è più ricresciuto.
Si è  creato uno strato di  soprassuolo di sostanza organica, metri e metri  accumulatisi nel  tempo. Si cammina  sulla torba, in mezzo all’erica e sembra di camminare sospesi su un cuscinetto  d’aria.
La caccia ha inizio. All’appuntamento  ci sono dei signori scozzesi  che ci faranno da accompagnatori. Hanno al seguito due bellissimi cani di razza pointer  inglese. Animali alti, magri e slanciati.
Il conduttore libera uno dei due cani il quale parte nella torbiera alla velocità massima che il suo fisico gli consente. Da bravo cacciatore qual credo di essere, subito m’inalbero e brontolo, innervosito anche per le due notti quasi insonni trascorse in quel piccolo letto scomodo.
Come è possibile cacciare con un cane che va a quella velocità e così lontano!
Era mia abitudine tenere i  cani a portata di tiro  quando andavo a caccia di pernici, cugine delle grouse, sia nelle nostre montagne venete, come in Alto Adige,
Gli scozzesi mi guardano di traverso, non capiscono perché mi sono arrabbiato.
Credevo di essere un cacciatore esperto, di sapere tutto sui cani da ferma, ma non è così.
Pochi istanti dopo, in lontananza, più o meno a settecento metri, un cane si blocca, immobile.

La gamba destra alzata, la coda rigida, il corpo tutto proteso in avanti. A volte fa piccoli passi, a rallentatore. Sente la preda vicina e sta ben attendo a non farla alzare.
La cosa si fa interessante. Il capocaccia invita uno della spedizione a muoversi e  questi, fucile aperto  alla mano, appoggiato sull’avambraccio, con calma si avvia. Nel frattempo  il cane non si muove, una statua.
Il cacciatore arriva a tiro. Parte uno stormo di grouse: due spari, uno stupendo doppietto. Il cane raccoglie gli animali abbattuti e li riporta scodinzolando soddisfatto.
Rimango affascinato dalla scena e mi rimangio le parole di rabbia profuse. Inizio a capire la loro caccia e mi sento uno zoticone al confronto.

Arriva il mio turno. Il cane corre nella torbiera. Nel frattempo il conduttore aveva ritirato il primo cane e liberato il secondo, un altro  esemplare splendido come il primo.
Il pointer va alla ferma e  il capocaccia  fa segno di avviarmi, sempre col fucile  aperto alla mano, una tecnica che imparo in Scozia e che userò in futuro, sopratutto in presenza  di altri per precauzione.
Arrivo a tiro dietro il cane. Le grouse, un volo di otto, partono con calma e faccio anch’io il mio doppietto: abbatto due pernici. Il cane si muove ma poco dopo si blocca un’altra volta. Ricarico il fucile, parte un altro uccello. Mi accorgo che è ancora giovane, forse una covata ritardataria, capita a volte anche in Alto Adige, ma oramai ho sparato. Raccolgo e mi pento della fucilata: dovevo lasciarlo volare via.
La caccia continua alternando  un cacciatore all’altro, fintanto che il capocaccia decreta la fine della battuta. Ci fermiamo per una colazione al sacco, contemplando il meraviglioso panorama che si stende sotto i nostri occhi.
Riprendiamo poi la strada del ritorno commentando la battuta, la bravura dei cani e del conduttore, nonché il loro “metodo gentleman” di condurla e dal quale abbiamo molto da imparare, la bellezza selvaggia del paesaggio  che stiamo vivendo.
Nel pomeriggio, assieme a Stella ed ai miei amici, ci rechiamo a visitare la vicina città, ad ammirare le vecchie storiche costruzioni, i giardini pieni di fiori che abbelliscono case e parchi curatissimi, da buoni turisti a fare un po’ di shopping.
Nei due giorni dedicati alla caccia, andando in giro per campagne e colline, mogli e figli si sono recati a visitare castelli, città e laboratori di tessiture di lana pregiata, data dalle famose pecore Shetland.
La sera la trascorriamo tutti assieme al pub, a bere la famosa birra rossa, come le chiome delle Scozzesi. Non faremo tardi perché domani si va in battuta. Sarà una grande giornata: il clou della nostra avventura venatoria in terra di Scozia.
Il grande giorno è arrivato: la caccia alla grouse con i battitori.
Partiamo presto quel mattino. La strada per arrivare sulle  sterminate colline d’erica che ci accoglieranno per la giornata più emozionante è piuttosto lunga.
Più di un centinaio di chilometri di strade normali, che si snodano tra vallate contornate da una rigogliosa natura, da paesini sparsi e lontani fra loro.
Facciamo una piccola sosta per acquistare dei viveri per la colazione del mattino. Il piccolo negozio somiglia alle  nostre vecchie botteghe di casa, di tempi oramai passati. Tutto il mondo è paese.
All’arrivo nella zona prestabilita ci incontriamo con gli organizzatori. In disparte ci sono circa quaranta battitori, che si disporranno a circa due km di distanza da noi.
Sono armati di bastoni e banderuole. Compito loro sarà causare un grande fracasso che  spaventerà gli animali, sospingendoli così verso di noi.
Il capocaccia ci assegna le postazioni. Ogni cacciatore ha la sua, delineata da un muretto a secco  fatto di pietre del posto, per  confonderlo con  l’ambiente circostante.
Non avendo mai partecipato a battute ci sentiamo leggermente spaesati, ma  una volta in postazione, aspettando che i battitori facciano il loro gioco, ci resta il tempo di ammirare lo scenario incomparabile che una giornata limpida offre ai nostri occhi.
In lontananza, ai piedi di una collina, un branco di cervi si sta allontanando, probabilmente infastiditi da tutta quella gente venuta a turbare la quiete dell’eremo felice in cui vivono.
Invidio in quei momenti gli scozzesi e gli inglesi che hanno la possibilità di cacciare su quelle sterminate colline, trapuntate d’erica e fiori alpestri.
Si intravvedono ora i battitori lontani nella torbiera fiorita. Allineati avanzano battendo le banderuole, gridando a squarciagola.
Il primo volo di grouse viene verso di me. Vedendomi  devia, ma sono a tiro di fucile e con un doppietto due pernici cadono colpite: è l’inizio della “festa”.
Altri voli si susseguono, ora a destra, ora a sinistra, passano veloci. Qualche gallo forcello, abitante anch’esso della brughiera, spaventato dai battitori si invola verso i più fortunati, fra i quali, neanche a dirlo, vi è lo zio Piero che ne abbatte due. Sempre fortunato.
Sembra di cacciare l’allodola di passo al capanno, come si fa in Italia in autunno, quando, provenienti dai paesi del nord,  si spostano  nei giorni di fine ottobre per svernare nelle terre di Puglia, o in Egitto.
Armati di richiami e zimbelli vivi, di specchietti, di fischietti, le aspettavamo fin dall’alba, nascosti dentro i teli di iuta  di colore verde pascolo, i casotti, sostenuti da quattro paletti di legno conficcati nel terreno. Quando non passava alcun uccello migratore, si trascorreva il tempo a chiacchierare sottovoce, ad ammirare il panorama dintorno, le nostre meravigliose montagne che contornano l’Altopiano di Asiago.
I battitori oramai vicini, fanno involare le ultime grouse. Diamo pertanto loro le spalle e spariamo le ultime fucilate. Il capocaccia decreta il silenzio venatorio. Ci disponiamo quindi tutti assieme  per la  colazione al sacco e a scambiarci opinioni e battute goliardiche.
Ultimata la sosta ci spostiamo  a piedi per un sentiero che ci porterà alla prossima posta.
I battitori nel frattempo si sono allineati lontano, non li vediamo perché vi è una collina frapposta che li nasconde.
Arrivano veloci i primi voli. Le grouse da questa parte sono molto più numerose. Vari voli, uno dopo l’altro, a volte non riesco neanche a ricaricare il fucile. L’euforia è tanta, un vero divertimento. Parecchie sono le fucilate a vuoto, ma va bene  lo stesso.
Poter vivere una giornata così intensa di emozioni è a dire poco stupendo.
Ma ora la caccia cambia. Arrivano le prime lepri, bianche, di loro non si era parlato. La loro caccia inizierà il 10 settembre e siamo appena al 20 agosto: che si fa?
Un cacciatore spara ad una lepre, poi a un’altra, a quel punto sparo anch’io. Arrivano di corsa e a circa quaranta- cinquanta metri si fermano, si alzano sulle due zampe per scrutare l’orizzonte sopra l’erica.  Disorientate  dalla presenza di tanta gente, ritornano sui loro passi ma poi, sospinte dai battitori, si riaffacciano e ad accoglierle ecco  le nostre fucilate.
Mi sento quasi in colpa, ma la caccia è così. Sparo e ne ammazzo parecchie.
Il tempo vola ed è oramai pomeriggio. I battitori si stanno avvicinando.
Abbandono la mia postazione per recarmi sulla distesa di erica alle mie spalle, dove ho visto calarsi delle grouse, ma il capocaccia mi richiama nei ranghi. Mi faccio sempre  notare per la mia indipendenza.
A sera si riuniscono tutte le prede, più di sessanta lepri bianche e non so quante grouse, molte in ogni caso.
Sarà una giornata che rimarrà impressa nella mia memoria per sempre.
Il costo elevato  pagato per la battuta è valso appieno. Ancora oggi, dopo anni, rammento quei giorni, quella avventura  con grande nostalgia.
La Scozia,  lo stile di caccia, la selvaggina ricca e varia che popola quella terra nordica, mi è entrata nell’anima.
La giornata seguente trascorre in  semi-relax. Mogli e figli sono impegnati nella visita a castelli e noi  andiamo  a cacciare il colombaccio da postazione fissa.
Mi ritrovo a dover salire su un abete, fra l’altro giovane (lui) con rami piccoli ed incerti; comunque ce la faccio e mi ritrovo in  una postazione costruita con assi di legno, fissate  con filo di ferro a tre alberelli. Lassù si dondola, come   fossi in mezzo al  mare del nord agitato, e tira anche  un forte vento.
Sistematomi, carico il fucile ed  inizia il carosello dei colombacci:  tante fucilate ma nessuna preda. Risulta difficilissimo sparare in quelle condizioni. Qualche ora di mal di mare, poi do una voce agli altri miei amici. Tutti ne hanno “le tasche piene “e scendiamo, con i piedi in terra ferma è meglio. Andiamo per la campagna per un po’,  riuscendo finalmente a mettere a segno qualche fucilata ai colombacci che ci sfrecciano sopra le teste, quasi a sfidarci.
Camminando per i campi di granaglie oramai spogli, vado con il pensiero alle favolose cacce all’oca di cui mi parlano i compagni  d’avventura.
Dicono che grandi stormi di oche,  durante il viaggio di migrazione che dall’estremo nord le porterà in Africa a svernare, si fermano in quei campi per pascolare.
L’oca, animale dalle dimensioni notevoli, con la pelle dura e spessa, va sparata con pallini grossi e legati fra loro. Personalmente non ne ho mai abbattuta una.
Durante una caccia in Lapponia assieme a Jussi, Piero e Sergio, ci è capitata l’occasione di vedere tre  oche calarsi in un corso d’acqua. Tentammo l’avvicinamento ma appena mettemmo fuori la testa dal riparo naturale che ci nascondeva alla loro acuta vista, partirono a tutto gas, lasciandoci a bocca asciutta.

Il pomeriggio lo trascorro in compagnia di Stella e degli amici, a zonzo per le vie di Forfar, ad ammirare le vecchie costruzioni, i giardini delle case e a fare un po’ di shopping.

La serata poi si preannuncia particolare: rientrando dalla caccia abbiamo avuto  una  bella notizia: dopo le nostre lamentele, ci hanno cambiato di stanza, addirittura d’albergo, ben più elegante del precedente,  sempre a Forfar,  ma  un po’ fuori centro.
L’organizzatore ha pensato bene di non farci tornare in Italia con il brutto ricordo di notti difficili.
Ci hanno assegnato  una suite, arredata stupendamente in stile coloniale, bianco ed azzurro, due grandi bagni, un salottino ed un letto comodo, dove finalmente posso godere della compagnia meravigliosa della mia amata sposa. Vi trascorriamo due notti felici, che ci fanno dimenticare le passate, insonni.
Nell’albergo, dove solo noi due avevamo la fortuna di soggiornare, la sera si tiene la cena congiunta di tutta la compagine venatoria.
La compagnia è piacevole, si parla di avventure di caccia, di viaggi, ognuno racconta le proprie esperienze.
Dopo qualche brindisi la parola passa ad un giovane uomo, faceva  parte della compagnia ma  non l’avevo mai notato nei giorni precedenti. Cacciava per conto proprio, essendo un habitué dell’ambiente. Abbiamo così potuto sapere di caccia e pesca fatta in tutto il mondo, di leoni, ghepardi, orsi, beccaccini e via dicendo. Mi sembra  non avesse mai  ucciso un elefante, gli mancava solo quella preda.
Terrà banco con la sua loquace parlantina tutta la serata, appassionandoci e divertendoci  fino all’ora di coricarci.
Domani è l’ultimo giorno di caccia.
Usciamo con i cani da ferma, ognuno con la propria squadra e con noi viene anche Stella. Ha la licenza di caccia, ma è  da tempo che non spara: anni prima, un giorno a caccia al passo, nell’atto di scaricare il fucile, le è partito un colpo che ha bucato lo spesso tavolato con cui era costruito il capanno. Da notare che qualche secondo prima in quel punto si trovava Modesto, l’amico di caccia in Finlandia. Da allora, per lo spavento provato al pensiero di quanto poteva succedere, Stella non ha preso più in mano il suo fucile.
Usciamo nella torbiera, ci accompagnano due signori scozzesi. Hanno con loro due splendidi cani di razza pointer. Conosco ormai  la tecnica della loro caccia e mi comporto adeguatamente, senza interferire.
I cani fanno il loro dovere, trovano le grouse che a turno spariamo, raggiungendo tutti la quota di tre capi a testa. Anche Stella raggiunge  la sua quota.
Il luogo in cui ci troviamo fa parte di una riserva privata di un Lord, il quale con squisita cortesia ci viene a salutare accompagnato da una splendida ragazza bionda, sua figlia.
Tutti e due sono vestiti impeccabilmente con un completo da caccia in lana scozzese. Al vederli sembrava di vivere in un altro tempo.
Ci troviamo alle pendici di un monte non molto alto, la torbiera, sempre fiorita di eriche e  mirtilli, infinitamente stupenda. La giornata di caccia finisce presto. Ci resta il pomeriggio libero per un giro nei dintorni.
Si va in pullman, messo a disposizione dall’organizzatore. Tutto il gruppo ospiti viaggia con noi. Andiamo  a visitare un castello, poi St Andrews, città famosa per la sua università, per la sede mondiale del golf, le rovine della cattedrale ed  una fabbrica di tessuti di lana, dove acquistiamo dei maglioni.
Passa veloce l’intero pomeriggio.
Il folklore in Scozia è molto sentito, molto vivo.
Nel nostro albergo una sera  c’è stata una festa di nozze. La cosa curiosa è stato vedere tutti gli invitati maschi indossare il kilt, con i colori e disegni del clan di appartenenza.
Per non parlare poi del bere, del rum, della birra, dell’ottimo whisky, che scorrevano a fiumi.
Canti,  balli e tanta allegria hanno contagiato pure noi, che non ci siamo fatti scappare l’occasione di trascorrere una serata diversa, da ricordare.
Ultima giornata in terra di Scozia. Oggi con tutto il gruppo si va a visitare Edimburgo, la capitale. Il sole ci accompagna  per l’intera giornata. Fa quasi caldo.
Appena arrivati cerchiamo una sartoria. Zio Piero desidera acquistare un competo da caccia, come quello indossato dal Lord conosciuto il giorno innanzi nella brughiera.
Il sarto gli fa indossare alcuni completi, fintanto non trova quello che gli calza perfettamente. Così vestito, con il suo fisico alto e asciutto, il suo savoir faire, sembra un vero gentleman inglese. Soddisfatto Piero, continuiamo la visita alla città e fra chiese, musei, vie, negozi camminiamo tutto il giorno.
Stella si fa fotografare con un ragazzo in kilt che suonava la sua cornamusa sul marciapiede sotto il castello.
Oggi non ricordo molto di più di quel giorno. Rammento che verso il tramonto abbiamo preso un taxi, uno di quei grandi taxi neri, che ci ha riportati all’appuntamento con gli altri del gruppo per ritornare ai nostri alberghi e trascorrervi l’ultima notte.
Fine dell’avventura, oggi si rientra.
Diamo l’addio alla Scozia, alle sue brughiere, alle torbiere con i lor manti di erbe e fiori multicolori, agli infiniti spazi dove corrono i cervi, le lepri, dove volano forcelli e grouse.
Addio alle scogliere dove il mare infrange la sua forza, alle Highlands, le terre alte.

Scozia, la terra che mi ha insegnato la vera caccia con il cane da ferma, dove ho cacciato in battuta un giorno indimenticabile, dove ho goduto di paesaggi meravigliosi, dove ho conosciuto la storia del suo popolo, il suo folklore tramandato di generazione in generazione.
Saliti  sul volo per Milano, in breve siamo ritornati in patria.
Trenta gradi di caldo al nostro arrivo. Eravamo partiti con poco più di dodici. Ritiriamo armi e bagagli, ma non arriva il sacco con la selvaggina.
Siamo in Italia si sa, c’è l’organizzazione dei recuperi che deve pur vivere!
Facciamo la solita denuncia di bagaglio smarrito e  salutiamo gli amici del gruppo scambiandoci gli indirizzi,(saremo loro ospiti in seguito,anche a caccia in Slovenia).
Si torna a casa.
Dopo quattro giorni dal rientro, arriva da Milano un pacco con il sacco della selvaggina.
Lascio all’immaginazione le condizioni della stessa, tenuta per tutto quel tempo in un deposito bagagli con trenta gradi di calore. Aperto il sacco in cortile, con l’aiuto di benzina e gasolio ho fatto un falò di grouse, lepri  bianche, forcelli, colombacci.
La selvaggina se n’è andata ma il ricordo è rimasto vivo e incancellabile.
L’avventura venatoria e la storia di quei bellissimi giorni  mi  è rimasta nel cuore e la nostalgia ogni tanto si fa sentire.
Torneremo lassù? La speranza non la perdo.
Arrivederci al prossimo racconto: sarete con me a caccia in …?

Gilberto Frigo, l’uomo del nord