1860: la battaglia del Volturno


Era ancora notte fonda e appena impallidivano le stelle nel brumoso cielo autunnale, quel primo giorno dell’ottobre 1860 a Capua.
Il posto di guardia sul ponte era in ansiosa attesa della carrozza reale proveniente da Gaeta, scortata dalle guide dello Stato maggiore, in leggero ritardo sul previsto: arrivò dopo un ‘ora dall’inizio del combattimento.
Il fiume Volturno lungo175 km, con un unico affluente, il Calore, nasce da monte Meta sull’Appenino abruzzese, solcando il Molise e si dirige verso la Campania, sfociando a delta in mare a Castel Volturno dopo aver bagnato Capua, attraversando ampie boscaglie.
Gonfio per le abbondanti piogge, profondo da uno a 1,5 metri, le rive fangose e scivolose quel giorno del 1860 era un ottimo baluardo strategico di difesa per i 56mila soldati borbonici che si riparavano tra i vigneti e gli oliveti; inoltre nella vicina poderosa fortificazione di Capua c’erano i telegrafi e l’ospedale militare.
I garibaldini erano in avanscoperta sulle rive meno alte dal lato di Napoli.
I borbonici schierati sul fiume erano 44mila; prenderanno parte attiva all’assalto in 25mila militari con ottime artiglierie campali e da montagna, 33 cannoni da campagna piazzati sul lato di Capua.
Le truppe borboniche, ben addestrate, erano decise a combattere per vendicare le sconfitte subite in Sicilia e in Calabria dovute alle debolezze e alla corruzione di alcuni vecchi generali; e poi erano ancora più motivate dal vittorioso antefatto bellico di Caiazzo del 26 settembre, risoltosi a sfavore dei garibaldini.
Alle due di notte fanti, granatieri, artiglieri,cacciatori si allinearono a Capua; alle 3 in silenzio la Brigata di Carabinieri Esteri dello svizzero Giovanni Luca von Mechel, 7mila militari in tutto, iniziarono ad avanzare a tenaglia verso Maddaloni e Napoli, mentre altri 2mila soldati del colonnello Perrone avanzano su Caserta vecchia e Caserta.
Alle 4,30 di mattina la prima divisione del generale Carlo Afan de Rivera uscì da Capua e puntò circospetta su Sant’Angelo, mentre la seconda seguì dopo poco verso Santa Maria Capua Vetere; la brigata Marulli avrebbe dovuto intervenire da sinistra, ma per un’inspiegabile indecisione del comandante si spostò nel bosco.
Il grosso delle truppe attaccò con due scariche di fucileria Santa Maria dal lato del cimitero e dell’ex convento dei Cappuccini al grido di Viva ‘o Rre!, mentre la colonna di Orgemount non attaccò a destra come convenuto le difese garibaldine, che ebbero così la possibilità di ripiegare sulle trincee di Porta Capua, ben difese munite di artiglieria, riuscendo così a respingere la I brigata.
Il generale Ritucci si rese conto dell’errore del col. Giovanni D’Orgemont, e inviò sulla destra la brigata Marulli, al comando del tenente Giovanni Giordano con due cannoni di rinforzo per contrastare quelli garibaldini, più numerosi.
Sebbene i suoi pezzi fossero esposti allo scoperto, la brigata borbonica volse in suo favore la sortita, costringendo i garibaldini a rinchiudersi a Sant’Angelo in attesa dei rinforzi, che giunsero da Napoli per via ferrata all’alba.
I garibaldini passarono cosi da 14 a 20mila unità, cui si aggiunsero oltre 1.500 soldati piemontesi sbarcati dalla flotta dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano.
Intanto von Mechel passò il Volturno a Limatola e risalì a Dugenta, conquistando la posizione garibaldina di Monte Caro sul fianco sinistro, puntando su Santa Maria, mentre il colonnello Perrone con 2mila soldati da Limatola respinse un battaglione garibaldino a Grottata e a Sant’Annunziata e piombò su Castel Morrone occupandola e trucidando il secondo battaglione garibaldino del maggiore Pilade Bronzetti, caduto nella mischia.
Poi la colonna marciò su Caserta vecchia, respingendo un terzo battaglione garibaldino, accanpandosi in attesa di rinforzi.
Dal lato di Sant’Angelo l’XI battaglione Cacciatori del tenente colonnello Capecelatro alle 5 sorprese i garibaldini e conquistò Villa San Benedetto sulla via consolare Appia, mentre il VII Cacciatori del tenente colonnello Tedeschi si lanciò da sinistra sulle alture ed espugnò alla baionetta la casina fortificata dei garibaldini inchiodandone i cannoni, nonostante il tentativo di contrattacco del generale Medici che tentò un contrattacco, respinto dal fuoco di due cannoni del tenente Catanzariti.
I Cacciatori dell’VIII del tenente colonnello Nunziante espugnò un’altra casina fortificata a sinistra facendo molti prigionieri; sulla destra la colonna Capecelatro prese una batteria d’artiglieria garibaldina a Cupa Lucarelli, con un assalto alla baionetta.
I garibaldini, attaccati da più parti, erano in estrema difficoltà.
Garibaldi partì da Santa Maria con i suoi luogotenenti verso Sant’Angelo; alle 7.10, al ponticello Ciccarelli sulla carrozzabile secondaria, vide balzare fuori un plotone di 26 cacciatori dell’XI battaglione, al comando dell’alfiere Mariangelo: dalle vicine fosse fognarie presero a sparare sul convoglio, uccidendo tre cavalli – di cui uno della carrozza di Garibaldi, il suo cocchiere e un suo aiutante.
Il corrispondente di guerra al seguito del Daily News Carlo Arrivabene Valenti Gonzaga, venne catturato e condotto a Capua; fu subito rilasciato per le pressioni dell’Inghilterra che volle considerarlo proprio suddito.
Gli occupanti delle tre carrozze, crivellate dai colpi, dovettero rifugiarsi nel terrapieno della strada; la buona stella di Garibaldi fece giungere in suo aiuto la compagnia del romagnolo Romano Petrelli, ed ancora una volta ebbe salva la vita.
Alle 8 Garibaldi potè riprendere la strada verso Sant’Angelo, mentre la sua scorta dovette respingere un nuovo assalto della stessa pattuglia borbonica decisa ad ucciderlo.
Alle 9 le truppe borboniche del generale di brigata Segardi attaccarono la postazione garibaldina del villaggio di San Tammaro con 4 cannoni e 6 plotoni di lancieri e costringendoli alla ritirata su Santa Maria.
Alle 11 il generale Ruiz si congiunse con il colonnello Perrone, in trincea già dalle 5 a Caserta vecchia.
Von Mechel attaccò su tre direttive Sant’Angelo e Maddaloni, ma trovò una forte resistenza garibaldina sull’intero fronte.
Errori di valutazione di von Mechel, il mancato aiuto di Ruiz, volsero l’attacco a favore dei garibaldini; i borbonici persero due obici,venne ferito il Capecelatro e ucciso il figlio del generale von Mechel.
Nonostante si combattesse aspramente anche ai Ponti della valle, a Maddaloni e a Calvi Risorta, i borbonici persero la posizione di Monte Caro e del Monte Calvo, perdendo circa 200 uomini tra caduti e feriti.
Alle 16 arrivò l’ordine di ritirata da Santa Maria e da Sant’Angelo; contemporaneamente fu tentato il contrattacco borbonico con il IX battaglione di linea del tenente colonnello D’Ambrosio insieme a due squadroni del II Ussari.
Alle ore 17 ritirata generale borbonica sulle proprie posizioni, dopo 12 ore complessive di battaglia cruenta su tutto il fronte.
All’alba del 2 ottobre da Caserta vecchia le truppe del generale Ruiz iniziarono l’attacco verso Caserta per lo sfondamento generale su Napoli, a 32 km distanza, ma venne raggiunto dall’ordine di ritirata generale; solo alcuni suoi reparti avanzati si scontrarono con i garibaldini e ne furono sopraffatti. Subirono 2160 prigionieri,di cui 900 del IX battaglione Cacciatori, 500 del IV e 600 dell’VIII.
In tutto le perdite borboniche tra l’1 e il 2 ottobre furono di ben 308 caduti, 820 feriti di cui 49 ufficiali e 2160 prigionieri di guerra, come ricorda nelle sue memorie, tra gli altri cronisti di guerra dell’epoca, l’ufficiale Luigi Di Iorio barone di San Barbato.
I garibaldini invece contarono 306 caduti e 1328 feriti, 389 prigionieri.
I borbonici rientrarono sulle loro posizioni, 40.712mila dislocati tra Capua e Gaeta , 8mila in Abruzzo e 5mila in Molise.
La battaglia del Volturno arrestò inesorabilmente la ripresa dell’offensiva dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, formato da valorosi soldati e ottimi ufficiali ben addestrati ed equipaggiati, in numero superiore rispetto alle truppe nemiche.
Ancora una volta, i borbonici persero per l’inadeguatezza, l’ambiguità e la malafede degli ordini dello Stato Maggiore.

Michele Di Iorio