1860

Ultimi sovrani di NapoliLa mattina del 5 settembre 1860 il giovane Francesco II di Borbone Due Sicilie chiamò il ministro Spinelli alla Reggia e lo informò che aveva deciso di partire via mare per Gaeta per risparmiare alla popolazione di Napoli gli orrori della guerra civile. Garibaldi era alle porte di Salerno e ormai avanzava minacciosamente. Gli ordinò di scrivere un proclama di addio ai napoletani.
Poi con la regina Maria Sofia uscì in carrozza scoperta, accompagnato da due gentiluomini. La folla salutava al suo passaggio. Maria Sofia si mostrava allegra e chiaccherona.
Si fermarono sorridendo davanti l’ingorgo stradale al Ponte di Chiaia causato dalla scala appoggiata all’insegna della Farmacia Reale Ignone vicino la foresteria, oggi sede della Prefettura, di piazza San Francesco, attuale piazza del Plebiscito: si accingevano a rimuovere – per prudenza, non si sa mai … – i gigli reali.
L’unico che mostrò visibilmente commozione per questo triste episodio fu il duca di San Donato.
I sovrani rientrarono alla Reggia, e tra mezzogiorno e le 14 il re ricevette i dodici12 capibattaglione della nuova Guardia Nazionale, 7mila militi reclutati tra il 7 e il 14 luglio precedente, al comando del generale de Sauget.
Francesco comunicò anche a loro la sua decisione di lasciare l’amatissima città per preservare i napoletani dall’orrore di una guerra fratricida. Sollecitò quindi i soldati a continuare a mantenere l’ordine pubblico anche in sua assenza.
Alle ore 16 si tenne il Consiglio di Stato, e il giovane re, grande studioso di Diritto, intervenne con toni commossi, sottolineando che si recava dove doveva difendere la legittimità del suo trono.
Circa mille persone erano accorse a palazzo reale, mentre il re riceveva la corte in udienza pubblica per il baciamano di saluto ai giovani sovrani.
Il personale civile e militare e le Guardie del Corpo che li avrebbero accompagnati a Gaeta erano pronti a partire.
In città rimanevano in retroguardia per la sicurezza pubblica i  militi della Guardia Nazionale e 6mila tra soldati e gendarmi su 18mila della guarnigione stanziale. La consegna era di non aprire il fuoco se non attaccati.
Intanto la Guardia cittadina formata dal ministro degli Interni avvocato Liborio Romano aveva preso contatto con i camorristi dei 12 quartieri della città, sotto il comando dei  capintesta di quartiere con coccarda rossa al cappello e nastro tricolore su abiti borghesi, armati di pistoloni, coltellacci, spadoni, pugnali e fucili non d’ordinanza. Un esercito di circa 30mila camorristi e contrabbandieri che rispondevano al capintrito, il capo della camorra Tore ‘e Crescienzo, Salvatore De Crescenzo, coinvolto dal Romano per tenere a freno la popolazione dopo i disordini di giugno e luglio scorso tra i luciani ciccillisti, fedeli a Francesco II e i lazzaroni filoliberali.
La massoneria napoletana si era messa in sonno dal 16 maggio per prudenza, mentre in provincia rimanevano attive le varie logge filiali, di concerto con le società segrete carbonare e mazziniane e filopiemontesi del Cavour. I collegamenti erano tenuti dal principe reale Leopoldo fratello del defunto Ferdinando II dal suo palazzo di Chiaia.
L’Ambasciata piemontese tesseva i fili di tutto in quei giorni concitati. 3mila soldati sabaudi erano già in attesa di sbarcare nel porto di Napoli dalle navi ancorate al largo.
Le famiglie filoborboniche erano partite per tempo in carrozza o in treno alla volta di Caserta, Capua e Gaeta e cosi i militari di polizia siciliana che si erano rifugiati a Napoli con le famiglie.
Il re con al braccio la regina, in divisa militare alle 17.30 discese la scala segreta a chiocciola, il caracò della Reggia, dirigendosi al molo militare di San Vincenzo, seguiti dal principe Brancaccio di Ruffano, maresciallo di campo e cavaliere di compagnia del re, i tenenti generali, e aiutanti di campo del re, de Sangro, Ferrari, Statella, San Vito Caracciolo, Latour, la duchessa di San Cesario, dama d’onore della regina, l’abate Eicholzer, confessore della regina, il marchese Imperiali il segretario particolare del re cavalier Ruiz de Balestros. I camerieri reali, Agostino Mirante, Giuseppe Natale e donna Nina Nizzo erano già a bordo della nave per Gaeta.
La città era calma e piena di meraviglia per la partenza dei reali. Gente per le strade e i vicoli,i teatri aperti ma non affollati. Al San Carlo davano la commedia lirica “Il folletto di Gresy” e il “Ballo di Margherita Gauthier”. Al Teatro dei Fiorentini l’opera comica Michele Perrin. Alla Fenice e al Sebeto “La battaglia di Tolosa” e al San Carlino “Le finte inglesi”. La solita quotidianità.
Alle 18 i reali erano a bordo della pirofregata Messaggero. Partirono sotto un cielo illuminato dalle stelle lasciando una scia di commossa nostalgia sul mare calmissimo. Quella sera non vi fu cena. Il re muto e solo passeggiava sul ponte. Ai comandi della nave, il capitano Vincenzo Criscuolo prima di tirare l’ancora aveva fatto inutilmente segnali alla Reale flotta ancorata al molo militare San Vincenszo di seguire Francesco e Maria Sofia a Gaeta.
Partì con loro solo la fregata Partenope, pur avendo le macchine a vapore inservibili, sabotate da agenti cavouriani. Alzò le vele agli ordini del fedelissimo capitano Roberto Pasca, scortato dal capitano Ferri del distaccamento di bordo del reggimento Real Marina, i fanti da sbarco napoletani.
Altri si lanciarono a nuoto per raggiungere le navi in partenza per Gaeta, pur rischiando di essere colpiti in acqua dalle fucilate. Altri ancora seguirono i Reali in secondo momento, in disaccordo con i comandanti della flotta borbonica.
Francesco II si rivolse al Criscuolo che fumava silenzioso la sua pipa dicendogli: «Vincenzino, credo che l’armata navale mi abbia interamente abbandonato e, quindi nessuna delle mie navi, 120 in tutto, ci seguirà a Gaeta. Vendicherò il mio onore di soldato napoletano. Dovevo andare a Palermo: o sarei risuscito a sconfiggere la rivoluzione o sarei stato ucciso da una cannonata. Se Dio mi risparmia non morirò senza aver riparato a questo disonore. I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta. Io però ho la coscienza di aver fatto sempre il mio dovere. Ad essi rimarrano solo gli occhi per piangere». Mai parole furono più profetiche.
Alle 6 del mattino del 7 settembre 1860 il Messaggero entrò nel porto di Gaeta dopo 12 ore di navigazione. La fregata Partenope ripartì subito per Napoli per imbarcare militari e marinai borbonici che vogliono riunirsi al re, rientrando quella stessa sera.
Intanto Garibaldi a mezzogiorno giunse a Napoli in treno da Salerno. Accolto dal sindaco, dal comandante della Guardia nazionale de Sauget e dal ministro degli interni Romano. Tra acclamazioni del popolo istruito dalla camorra ricevete il saluto militare della guarnigione borbonica del forte del Carmine. Garibaldi sfilò per Napoli in carrozza scoperta accompagnato dalla famosa Sangiovannara, una delle camorriste …
Dopo il discorso al balcone di palazzo Carafa di Maddaloni allo Spirito Santo, Garibaldi proclamò la dittatura provvisoria in attesa dell’arrivo delle truppe piemontesi dalle Marche pontificie.

Michele Di Iorio