1848: le barricate napoletane – Seconda e ultima parte

Le barricate napoletaneIl tenente generale Ischitella d’accordo con il generale Carascosa, montò a cavallo e ordinò la mobilitazione generale in città: i tamburi cominciarono a rullare lugubri e i trombettieri diedero fiato alle trombe.
Su Castel Nuovo alle 11.45 salì la bandiera di allarme rosso, ovvero pericolo grave di guerra. Questo segnale avvertiva i soldati di tutta la guarnigione di fare fuoco.
I cannoni dei forti vennero messi in posizione di tiro a mitraglia al Maschio Angioino, Castel del Carmine e Castel dell’Ovo, seguiti un minuto dopo da Palazzo Reale. Solo Castel Sant’Elmo non si mosse: il generale di brigata Roberti non volevasparare come fece nel gennaio 1848, in attesa di ordini dal Parlamento.
La batteria svizzera ippotrainata aprì il fuoco sulla prima barricata di via Toledo alle 11.50, mentre un battaglione di Granatieri al comando del generale Carrascosa avanzò contro il primo sbarramento dei rivoltosi, che reagì con una violenta scarica di fucileria, appoggiata da altri liberali dall’alto di Palazzo Cirella.
Il generale Ischitellla diede ordine di coprire i soldati in attacco e di cambiare manovra, con l’intervento immediato dei fanti da sbarco del Real Marina che sparavano da casa Zabata, occupata militarmente pochi muniti prima, appoggiati dagli spari di una compagnia di Granatieri che dalle balconate e finestre della Real Foresteria di piazza San Francesco di Paola, l’attuale Palazzo della Prefettura.
Il generale Statella con il I reggimento svizzero assaltò Palazzo Cirella.
I soldati del generale Lubrano assaltarono la barricata di via Santa Brigida. Il capitano de Muyarlt degli svizzeri saltò sullo sbarramento gridando ai suoi uomini: «En avant camarades!» Un liberale gli gridò di rimando: «Fermati,stupido, che muori!» e gli sparò una fucilata fracassandogli la mano destra. Il coraggioso capitano senza sciabola gridò ai suoi soldati «Ce n’est rien! En avant, camerades!» una seconda fucilata lo colpì alla scapola e lui continuò incitare i suoi uomini sventolando la bandiera reggimentale con la mano sinistra. I liberali lo fermarono colpendolo mortalmente con una terza fucilata in fronte. Caduta la bandiera del reggimento i giovani soldati come un sol uomo protessero il corpo del capitano e salvarono la bandiera ingaggiando un corpo a corpo alla baionetta con i ribelli.
Il comandante di Castel Nuovo alle 11.37 inviò Sant’Elmo un plico d’ordine di allineamento del fuoco al generale Roberti con l’alfiere di staffetta dello Stato Maggiore. L’alfiere era il ventenne don Ugo Catalano, aiutante maggiore, appartenente al I reggimento Lancieri Ferdinando, accompagnato da un trombettiere e da un lanciere di scorta.
Il drappello uscì dal ponte levatoio protetto da un sergente e due fucilieri dei Reali veterani posizionati a Largo Castello. Evitarono San Ferdinando dove divampava il combattimento.
Tutte le vie erano bloccate: la compagnia dei Pontonieri coi loro cappotti turchini era in attesa dell’ordine di marcia e all’inizio di via Medina gli Artiglieri della sezione leggera intorno ai loro affusti rimanevano in attesa di iniziare a sparare.
Evitando via Santa Brigida e via San Giacomo, i tre portaordini si avviarono per Sant’Elmo. Arrivati davanti la barricata di via Monteoliveto attraverso i vicoli, finirono sotto il fuoco dei liberali di via Cirella, ma riuscirono a proseguire indenni lanciati al galoppo. Poco dopo un colpo di moschetto raggiunse il trombettiere uccidendolo.
I due superstiti si diressero a Montecalvario attraverso le stradine semideserte dove stazionavano le truppe di rinforzo. Una seconda fucilata uccise al largo della Carità il lanciere di scorta.
L’alfiere Catalano galoppò furiosamente attraverso la Pignasecca, Porta Medina e Montesanto, imboccando poi le rampe oltre la strada di san Cristoforo verso l’Olivella. Una fucilata colpì il cavallo e Catalano cadde ferendosi leggermente alla testa e perdendo le pistole d’arcione e la sciabola. Una popolana lo aiutò ad alzarsi e gli diede un bicchiere di rosolio. Rinfrancato, l’alfiere cominciò a correre a piedi e venne soccorso dai soldati del VI reggimento Farnese che lo scortarono a Castel Sant’Elmo.
A mezzogiorno il coraggioso alfiere finalmente riuscì a conferire con il generale Roberti, che si rifiutò comunque di sparare sul popolo. Era presente il maggiore Zanetti; letto il dispaccio reale, ringraziò Catalano e mise agli arresti il brigadiere generale Roberti prendendo il comando forte. Inalberata la bandiera rossa, ordinò di far tuonare i cannoni contro le barricate di via Toledo.
Il III reggimento svizzero comandato dal generale Eugenio de Stockalper de La Tour maresciallo di campo, a passo di marcia sfasciò le barricate minori da Mercatello a San Potito: via Foria, Porta San Gennaro, San Carlo all’Arena, Vicaria, fino a Porta Capuana.
Sebbene decimato, il reggimento arriva al Teatro del Fondo, l’attuale Mercadante, entrando a piazza Castello incontrandosi con i compagni del IV reggimento, anch’esso decimato nello scontro con la barricata di Santa Brigida.
I soldati napoletani e svizzeri combatterono contro gli insorti per le scale, per gli androni, per i corridoi, dietro i portoni dei vicoli. Il III reggimento svizzero sfasciò la barricata di San Giacomo mentre il I battaglione salì per Monteoliveto, bruciando Palazzo Lieto dove fu ucciso il maggiore Salis e ferito gravemente il colonnelo Dufour.
Tre compagnie del II Granatieri svizzero risalirono su per la Concezione mentre Zappatori del Genio secondati dagli svizzeri finirono di demolire le barricate di Santa Brigida e la prima di via Toledo.
Le staffette dello Stato Maggiore erano in andirivieni continuo per portare notizie precise. Alle ore 2 erano state distrutte ben 33 barricate su 62. Alle 15 del giorno successivo tutte le 17 barricate di via Toledo vennero distrutte tra lo giubilo dei soldati. Alle 16.30 il IV reggimento svizzero da Madonna delle Grazie avanzò con i cannoni da campagna distruggendo la barricata del largo Carità.
A Palazzo Reale il colonnello dei Granatieri della Guardia Ferdinando Lecco rapportò le vicende degli scontri a Ferdinando II definendo i nemici canaglia. Il re gli disse: «Colonnello, state calmo e non chiamate canaglia il popolo. Sono napoletani, sono il mio popolo, sono miei sudditi e compaesani. Qualcuno li ha fuorviati ma si tratta sempre del mio popolo. State calmo e non uccidete i prigionieri, non vi lasciate travolgere dallo zelo e dalla passione militare. Evitate un massacro inutile per dei disordini che non abbiano voluto e iniziato noi».
Il colonnello Lecco con i suoi Granatieri seguì dunque il giovane maggiore Nunziante al comando degli Ussari e distrussero la barricata davanti Palazzo Gravina inseguendo fino all’interno i ribelli che si difesero combattendo corpo a corpo. Il palazzo prese fuoco negli ultimi piani.
Accorsero i pompieri guidati da un giovane e bruno gendarme in servizio dal 1847, il ventenne Giuseppe Basile di Casoria, che si guadagnò per il suo lavoro i galloni di caporale. Da allora per lui iniziò una sfolgorante carriera che si concluse con l’annessione al Regno di Sardegna. Fedelissimo borbonico, la sua vita si concluse tristemente nel marzo 1862 al lager di Fenestrelle, da cui non tornò mai. Ma questa è un’altra storia …
I combattimenti cessarono alle 17 con la distruzione della barricata eretta davanti al Conservatorio di San Pietro a Maiella.
Il bilancio degli scontri del 15 maggio 1848 fu di 145 morti, 272 feriti e 520 arrestati in strada tra i civili insorti. 1480 vennero arrestati il giorno successivo per un totale di 2000 persone.
Le perdite dei Regi fu 130 soldati e ufficiali in gran parte svizzeri uccisi e 3 ufficiali svizzeri morti e 6 u feriti, più 10 ufficiali napoletani feriti, tra cui il generale Statella.
Il 16 alle ore 8 si insediò un nuovo Governo ministeriale presieduto da Gennaro Spinelli principe di Cariati, che sciolse la Guardia nazionale per essersi resa complice dei disordini di Napoli e delle provincie.
Qualche giorno dopo i Carabinieri del reggimento da montagna riportarono l’ordine nel Cilento in rivolta dal 17 gennaio scorso imprigionando i caporioni in attesa di giudizio nel carcere di Salerno.
Alle ore 21 di quel 16 maggio 1848 il generale Scala lasciò Napoli e via mare raggiunse Ancona per poi proseguire per Bologna con l’ordine di ritirata generale dell’esercito napoletano dal conflitto della I guerra d’Indipendenza antiaustriaca. Bisognava sedare i disordini ancora in atto nel Regno delle Due Sicilie in Calabria e Sicilia.
Il ritiro delle truppe borboniche iniziò il 10 giugno 1848.
Questo è il racconto delle ore concitate di quei giorni. Sono vicende che si commentano da sole. Forse è necessario sottolineare per qualcuno che re Ferdinando II di Borbone Due Sicilie si comportò in modo più che magnanimo e solo quando vi fu costretto usò le maniere forti. Questa è la verità su come si svolsero fatti per cui la storiografia ufficiale gli affibbiò vigliaccamente l’appellativo di Re Bomba.
Fine della seconda e ultima parte

Michele Di Iorio

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