12 anni schiavo

12 anni schiavo1841, Stato di New York: Solomon, nero, libero con l’inganno è rapito e condotto in Georgia come schiavo fuggitivo. E lì rimane per 12 anni. L’inglese Steve McQueen è il regista di questo impressionante film (USA-UK, ‘13).
Tratto dall’autobiografia di Solomon Northurp, che subì realmente quelle vicissitudini, è una riflessione su ciò che è stata la schiavitù negli USA.
È un memorandum storico-documentario, per così dire, su una situazione di disumanità brutale e crudele, diffusa e socialmente accettata, che era la schiavitù praticata, e  che si tende ad ammettere come del tutto consegnata al passata senza riflettervi.
Ma è da questa considerazione rovesciata dell’umanità, che scaturisce la cultura della supremazia razziale; ed è anche una delle componenti in sottotraccia  del razzismo. Addirittura si usa la Bibbia per sostenerne la legittimità.
Oggi nel cinema USA mainstream c’è una riviviscenza del cinema black. È chiaro che la vittoria di Obama è un segno di un cambiamento storico radicale ed epocale: e tale cinema ne è la consapevolezza culturale, dovuta e necessaria.
Ma McQueen, che viene dalla video-arte, e che ha firmato, prima di questo, 2 film, ambo di notevole rilievo stilistico, è autore potente e visionario: non poteva restare ingabbiato in un pamphlet a tesi. In una sorta di moderna “Capanna dello zio Tom”.
McQueen ha usato il testo e il personaggio preesistenti per illustrare e investigare, da una parte, sul rovesciamento sistemico di cui dicevo prima; dall’altra sui conflitti laceranti che si aprivano all’interno dei personaggi che l’abitavano. Come in padron Epps, Michael Fassbender, attore-feticcio del regista, con cui ha lavorato egregiamente negli altri due film, e grazie a lui pluripremiato, ed anche per questo in nomination Oscar 14.
Padron Epps è feroce, ma è preso dal fascino della schiava Patsey, l’emergente attrice-modella LupitaNyong’o: ne è letteralmente ossessionato: vorrebbe allontanarla da sé e scatena la sua impotenza a sottrarsi da questa dipendenza, rendendosi odiosamente feroce verso lei.
È un universo intriso di brutalità barbarica reso ancora più collosamente vischioso dal caldo infernale delle coltivazioni: ove mai ci fossimo fatti ingannare dall’aristocraticità dei gentlemen del Sud tipo “Via col vento”, ora siamo stati edotti su quale reale reteatroce di poteri e su quale cultura quel formalismo si fondava.
Il caldo diventa una dimensione visuale e cromatica in cui s’inabissa come in un’infinita palude tutta l’umanità: il lavoro del direttore della foto, Sean Bobbitt, che ha collaborato con tutti i film del regista, è stato di alto livello. I colori sono lividi e “stanchi”, per niente turgidi: è un’atmosfera dantesca da incubo, in cui, insieme a loro, siamo immersi senza scampo.
Il film è coprodotto dalla Plan B di Brad Pitt, che interpreta un onesto rappresentante di quella parte della cittadinanza americana che per motivi religiosi deprecava fortemente la schiavitù.
Corrente di pensiero molto forte, che ha dato espressione al puritanesimo del Presidente Lincoln, che, insieme a più cogenti considerazioni economiche, politiche e sociali, ha segnato la morte della schiavitù, almeno in USA  e in quelle forme giuridiche classiche …

Francesco “Ciccio” Capozzi